Israele ha stretto il cerchio l’ospedale al-Shifa, dopo 36 giorni d’inferno. E la sensazione è di essere solo all’inizio.
Il mantra di Benjamin Netanyahu è noto quasi come il suo volto di uomo qualsiasi capace di fare il male assoluto, come solo un uomo qualsiasi sarebbe capace di fare. Lui e i suoi. E’ la facile via di fuga alle insostenibili obiezioni dell’evidenza, dinanzi a questo scempio senza logica e misura, è che la responsabilità non cadrà su di lui, non su Israele, che egli certo pensa siano la stessa cosa, in questo desolante paesaggio della Storia recente.
E’ Hamas che ha tradito, è entrata nelle case, ha ucciso, con indicibile violenza. E indicibile violenza è stata patita dai vivi, prima di morire e dai sopravvissuti, se sopravvissuti lo sono davvero. La porta dell’Inferno è stata aperta da Hamas e non sarà certo Israele a chiuderla. Da 36 giorni dicono di farcene una ragione, Bibì ed i suoi, convinto che l’umiliazione di chi li ha umiliati, le convenienze, le alleanze, la paura di una guerra più vasta, possano frenare la slavina. Non spetta a Gerusalemme essere prudente. E bisogna ricacciare la pietà in quella tana della coscienza dove è cinta d’assedio, anch’essa, perché se affiorasse potrebbe essere confusa con la debolezza. Così pensa Israele in questi giorni.
Senza tregua
E intanto a Gaza i numeri dei morti salgono e sembra quasi irreale poter procedere ad una conta in questo vortice di esplosioni e macerie, dove si ha la sensazione di non avere il tempo di respirare e meno che mai attraversare indenne il guado da una giornata all’altra. Ma i numeri ci sono tuttavia, e parlando di 11.078 palestinesi uccisi. L’ospedale al-Shifa è un punto buio nel buio. Isolato, senza più nulla che lo faccia apparire quel porto franco che dovrebbe essere un presidio sanitario in quel tornado di destini portati via e follia che è la guerra.
Ormai manca tutto
E invece proprio su questo si stringe la collera più nera. Perdiamo vite in ogni momento – ha detto Muhammad Abu Salmiya, direttore dell’ospedale – muoiono i bambini nelle incubatrici”. Senti queste parole e pedi le tue. L’ospedale non ha elettricità, acqua e forniture mediche, ha detto il medico. E’ come un’enorme stanza dove si muore. Manca tutto, ma certo non mancherà l’attacco da parte dell’esercito di Gerusalemme, per tentare di salvare, tra i feriti ed i malati morenti un orgoglio ferito a morte.
E dopo verrà l’alba di un giorno come un altro e quando sarà finita questa mattanza qualcuno forse sorriderà, a poche miglia di distanza. Temiamo che non ne seguiranno molti altri e che quella sciagurata porta, spalancata la mattina del 7 Ottobre verrà chiusa tardi, troppo tardi.