Fino a due settimane fa si vociferava della volontà di Joe Biden di ritirare i soldati dalla Siria e dall’Iraq, ma poi è successo l’imprevisto
Tre soldati statunitensi uccisi e 34 feriti da un attacco terroristico alla base Tower 22 di Al-Tanf, in Giordania vicino al confine con Siria e Iraq. La rivendicazione è stata del gruppo iracheno “Resistenza islamica”, in solidarietà con il popolo palestinese. Per rispondere, gli americani hanno parlato con le armi, colpendo 85 obiettivi militari fra Siria e Iraq, legati alle Guardie della Rivoluzione iraniane e a milizie locali filoiraniane.
Lo ha fatto sapere con un tweet il Comando centrale statunitense, l’unità del dipartimento della Difesa che gestisce le operazioni militari in Medio Oriente. Tra gli obiettivi centrati ci sono basi operative e sedi dei servizi segreti, oltre a depositi di armi e munizioni. L’agenzia di stampa statale dell’Iran ha dichiarato che almeno 10 persone sono morte, tra cui tre iracheni. E’ quel che i miliziani volevano? Trascinare gli Stati Uniti in una spirale di violenza?
Missili e bombe, ma per la de-escalation
La risposta americana era stata preannunciata dal segretario alla Difesa Lloyd Austin, che aveva aggiunto che non c’era affatto l’intenzione di ampliare il conflitto israelo-palestinese. La Casa Bianca non vuole, a parole, che l’escalation prosegua, anzi programma un percorso contrario. Nello stesso tempo, però, il presidente Joe Biden ha ribadito che gli Stati Uniti risponderanno ancora, nel tempo e nel modo che sceglieranno, a chi vorrà danneggiarli.
Le dichiarazioni ufficiali degli Stati Uniti, a proposito del Medio Oriente, sono tipicamente moderate e prudenti, anzi ambigue, nel nome di un proclamato spirito di pace, cui però seguono missili e bombe che di pacifico non hanno mai avuto nulla. La stessa intenzione di rispondere a ogni attacco suggerisce il contrario della de-escalation, che la Casa Bianca ha sbandierato come proprio programma strategico.
C’è chi si aspettava più tempestività e violenza
Eppure, in patria Joe Biden è contestato dai repubblicani per aver reagito troppo tardivamente e senza la forza dovuta, ritrovandosi a subire l’iniziativa dell’Iran. Le forze americane sono entrate in azione soltanto una settimana dopo aver patito l’attacco a Tower 22. E probabilmente l’Iran è stato avvertito prima che scoppiassero le bombe, ed ha avuto così tutto il tempo di spostare i propri uomini, evitando una carneficina. Dieci morti invece sarebbero un numero accettabile? Probabilmente qualcuno lo crede e approva questi metodi.
Dunque, per diversi parlamentari repubblicani Joe Biden non riesce a contrastare l’Iran. Negli ultimi tempi, da ottobre, le basi americane in Siria e Iraq sono state nel mirino dei razzi un centinaio di volte, riuscendo quasi sempre a intercettare i colpi con i sistemi di difesa. Se diminuiranno le ostilità dei gruppi legati all’Iran, che sa di non poter affrontare direttamente le forze armate americane, lo si vedrà nelle prossime settimane.
E piovono provvedimenti amministrativi
La Casa Bianca ritiene di ottenere quest’obiettivo, sia per la recente dimostrazione di forza che per le sanzioni emesse alcuni giorni prima. E’ un metodo punitivo cui l’amministrazione Biden ricorre spesso, spesso raggiungendo dei risultati. Ultimamente, dunque, Biden ha colpito con sanzioni finanziarie alcune società legate all’Iran e collegate alla produzione di droni e missili. Provvedimenti simili sono stati presi inoltre contro sei ufficiali del corpo delle Guardie rivoluzionarie, responsabili di attacchi informatici contro le infrastrutture idriche degli Stati Uniti.
Con lo stesso metodo hanno subito restrizioni da parte del dipartimento della Giustizia degli Stati Uniti nove persone di nazionalità iraniana, turca, cinese e omanita. Sono ritenuti responsabili di aver finanziato il terrorismo internazionale mediante la vendita di prodotti petroliferi iraniani. Il governo americano, poi, ha confiscato più di 500mila barili di petrolio iraniano che sarebbero serviti a sostenere milizie paramilitari mediorientali.
Tenere sotto controllo più che sfidare
Gli Stati Uniti, quindi, non stanno usando soltanto la violenza delle armi, ma diversi strumenti di potere, da “polizia internazionale” alternandoli nella speranza di imbrigliare l’Iran e i suoi affiliati, evitando uno scontro diretto con Teheran. Gli Stati Uniti hanno messo mano alle armi in Siria e Iraq, dunque, nella convinzione che questa replica, comunque sanguinaria, potesse essere effettuata tenendo sotto controllo le sue conseguenze. Di pace, però, non si può parlare.
La reazione americana è cominciata poche ore dopo la cerimonia funebre in onore dei tre soldati uccisi in Giordania. Le salme sono rientrate nella base dell’aeronautica di Dover nel Delaware. Hanno dato l’estremo saluto alle vittime il presidente Biden, con la moglie Jill, il segretario Austin e il generale Brown, capo di stato maggiore della Difesa. Quanto al ritiro dei soldati dall’Iraq, dopo un primo colloquio con il premier iracheno svoltosi in gennaio, ora torna l’incertezza. E nel tentativo di controllare il Medio Oriente in tempesta, gli Stati Uniti potrebbero esserne inghiottiti.