Tre soldati sono morti. Cresce la paura, per gli Stati Uniti, di rimanere intrappolati nell’escalation della grande guerra del Medio Oriente.
Tre morti e venticinque feriti, come ha dichiarato il comando centrale americano alla CNN. Li hanno colpiti i droni lanciati da gruppi militanti radicali, sostenuti dall’Iran. Si trovavano nel nord-est della Giordania, al confine con la Siria, precisamente nella base Torre 22, ad Al-Tanf, vicino anche al confine con l’Iraq. Sono le prime vittime a stelle e strisce, dal 7 ottobre, con il timore, da parte dell’opinione pubblica, che non siano le ultime.
Infatti, dopo le guerre in Iraq e in Afghanistan, la sensibilità dei cittadini americani per la vita dei soldati del loro Paese è cresciuta, mentre il consenso per le missioni militari in tutto il mondo è palesemente diminuito. Ne ha approfittato Donald Trump, per dichiarare che se fosse diventato lui presidente dal 2021 tutto questo non sarebbe successo: non ci sarebbe un rischio di terza guerra mondiale e nemmeno si combatterebbe in Ucraina. E non ci sarebbero morti e feriti americani in Medio Oriente.
Perché andare a morire in Medio Oriente?
Il presidente in carica Joe Biden, così come il Pentagono, ha un problema particolarmente serio da affrontare: riuscire a non far travolgere i soldati americani dal conflitto mediorientale. Fino ai giorni scorsi, si parlava di un possibile ritiro delle truppe a stelle e strisce dalla Siria, e anche dall’Iraq. Lo ha reso noto la rivista Foreign policy. L’attacco si è scatenato nell’imminenza di un incontro fra Stati Uniti e Iraq, per discutere sulla presenza militare americana.
E’ stato uno dei molti attacchi lanciati nel fine settimana, 158 in tutto, quasi tutti senza conseguenze, respinti dai sistemi di difesa. Per motivi ancora ignoti, ad Al-Tanf invece ci sono state delle vittime. Joe Biden ha affermato che gli Stati Uniti chiederanno conto dell’accaduto a tutti i responsabili, nel momento e nel modo stabilito a Washington. L’Iran è nel mirino, come sempre, assieme però ai gruppi locali.
Restare in Siria e in Iraq oppure andarsene?
I funzionari della Giordania hanno precisato che Al-Tanf è in Siria, quindi l’attacco riguarda Damasco. La base Torre 22, però, come ha insistito il Pentagono, si trova in Giordania, nelle vicinanze di Al-Tanf ma in Giordania, appunto al confine. In Siria gli Stati Uniti hanno schierato 900 soldati, che collaborano con i curdi delle Forze democratiche siriane, le Sdf, impegnate a contenere i gruppi islamici. L’Isis, poi, esiste ancora.
La Casa Bianca dovrà decidere se e come lasciare la Siria e l’Iraq. L’escalation legata alla guerra tra Hamas e Israele minaccia di tenere inutilmente sotto tiro le truppe americane, proprio durante una campagna elettorale dai toni estremi. Lasciare il terreno, però, potrebbe significare dar la possibilità all’Isis di tornare a crescere. Come sta tentando di fare.
L’Isis è ancora attivo e tenta di rafforzarsi
Lo dimostra l’attacco missilistico a una prigione gestita dalle Sdf e dagli Stati Uniti, che conteneva 5mila guerriglieri della jihad. L’attacco voleva dare la possibilità di un’evasione di massa, che sarebbe riuscita in assenza dei militari. Nel nordest della Siria, soprattutto lungo la sponda occidentale dell’Eufrate, il cosiddetto califfato islamico si sta riorganizzando, come nella Siria centrale e a Dara’a.
Non c’è tranquillità, in Siria. Oltretutto, il 12 novembre gli Stati Uniti hanno compiuto diversi attacchi contro strutture di addestramento dei guerriglieri filo-iraniani. In Iraq, invece, i soldati americani sono 2.500, attivi soprattutto come consulenti. Se la Casa Bianca ritira i soldati, c’è il rischio che si torni al 2014, con una nuova crescita dell’Isis e un collasso dello Stato iracheno. Oppure che gli americani restino intrappolati in Siria e in Iraq, oltre che in Ucraina e in Israele, con una campagna elettorale dai toni apocalittici.