Più di cento giorni e nessun aggiornamento. I famigliari degli ostaggi si confrontano con l’indifferenza del governo israeliano.
Lunedì 22 gennaio decine di manifestanti hanno fatto irruzione nella sede del Parlamento israeliano, la Knesset. I parenti degli ostaggi hanno dominato la riunione della commissione Finanze con esclamazioni ricche di rancore, frustrazione ed inevitabile sofferenza. Hanno tentato, per l’ennesima volta dallo scoppio del conflitto, di richiamare l’attenzione del loro leader su coloro che tutt’oggi sono imprigionati nella morsa del terrorismo. Cartelli accusatori, urla e grida hanno riecheggiato per i corridoi dell’edificio, di fronte all’indifferenza dei diplomatici presenti in sede governativa.
Il popolo israeliano si sta svegliando dal proprio sonno di incoscienza, nella consapevolezza che Benjamin Netanyahu sia molto più affascinato dall’occupazione militare, piuttosto che dalla salvaguardia delle vite dei suoi connazionali. Le operazione delle Idf non sono studiate per salvare le vittime di Hamas, bensì per annientare tutti coloro che ostacolano le sue mire espansionistiche. Laddove l’esercito dovesse incontrare un ostaggio israeliano ben venga – sperando che non venga scambiato, come è già avvenuto, per un miliziano islamico – ma, se così non fosse, poco importa. L’agghiacciante imperturbabilità del leader emerge chiaramente dalla decisione di bombardare deliberatamente la Striscia, una strategia che comporta il coinvolgimento indistinto dei civili palestinesi e potenzialmente degli stessi ostaggi.
Gli ostaggi non sono una priorità per Bibi
“Per tutti loro ora, a qualsiasi costo” – recita lo slogan dei manifestanti che, all’alba del 2024, hanno invaso le strade di Tel Aviv. I parenti degli ostaggi hanno assistito alle beffe indicibili del governo, tra cui la brillante idea – esposta nel mese di dicembre – di costruire un parco divertimenti nel luogo dove Hamas ha compiuto la strage dei loro connazionali, durante il Nova Party. Un ridicolo contentino volto, secondo le amministrazioni governative, ad onorare le vittime dell’attentato. In realtà, l’unico modo per rendere omaggio concretamente alla loro sofferenza risiede nella salvaguardia di coloro che, per un fortuito caso del destino, respirano ancora.
Nel frattempo, a sud della Striscia, le Idf subiscono il primo vero attentato terroristico dallo scorso 7 ottobre. Un razzo Rpg, lanciato dagli esponenti di Hamas, ha colpito un carro armato dell’esercito di Netanyahu. Ventuno soldati hanno perso la vita. Poche ore più tardi, un edificio – entro il quale le truppe stavano preparando le mine volte alla sua demolizione – è crollato improvvisamente. Il bilancio delle vittime israeliane ora supera le 200 unità, contro le 25mila unità denunciate dal Ministero della Sanità di Gaza. Un numero che, verosimilmente, potrebbe includere alcuni degli ostaggi dello Stato ebraico.