L’aula di Palazzo Madama ha dato luce verde al ddl Calderoli sul trasferimento di competenze alle Regioni. La palla ora passa alla Camera. Opposizioni sulle barricate annunciano battaglia: “Spacca l’Italia”
Fra tricolori, bandiere della Serenissima e l’Inno di Mameli, ieri l’aula del Senato ha dato il primo via libera all’autonomia differenziata delle Regioni, storica battaglia del Carroccio. Ora la marcia del ddl Calderoli, con contorno di bagarre tra maggioranza e opposizioni, prosegue alla Camera con l’obiettivo di portare a casa il sì definitivo prima delle elezioni europee di giugno. Almeno queste sono le intenzioni della Lega, che vorrebbe giocare la carta della devoluzione in campagna elettorale. Mentre il governo ha parlato di “giornata storica”, i partiti di minoranza hanno ribattezzato la riforma “spacca Italia”, annunciando “battaglia” dentro e fuori il Parlamento. Solo Azione si è astenuta con Maria stella Gelmini che ha votato a favore in dissenso dal gruppo.
Il disegno di legge che vede come primo firmatario il ministro per gli Affari regionali, il leghista Roberto Calderoli, attua la riforma del Titolo V della Costituzione, voluta nel 2001 dal centrosinistra, dedicato agli enti locali. L’articolo 116 in particolare prevede che le regioni a Statuto ordinario possono richiedere “ulteriori forme e condizioni particolari di autonomia” su 23 materie, espressamente indicate nel successivo all’articolo 117: venti di competenza “concorrente” e tre esclusive dello Stato: si va dalla salute all‘istruzione, dall’energia all’ambiente passando per trasporti, commercio estero, cultura e sport.
L’autonomia è una delle riforme previste nel programma del governo Meloni e per la Lega è da sempre la madre di tutte le battaglie. Nel 2017 il Carroccio ha anche indetto un referendum in Lombardia e Veneto con risultati plebiscitari.
Con undici articoli, il ddl definisce nel dettaglio le procedure legislative e amministrative per l’attribuzione di maggiori competenze alle regioni che ne fanno richiesta, sulla base di un’intesa con lo Stato.
Il trasferimento è subordinato alla determinazione dei Lep, i Livelli essenziali delle prestazioni (livelli di servizio minimi che devono essere garantiti al cittadino in modo uniforme su tutto il territorio nazionale), dei relativi costi e fabbisogni standard e nei limiti delle risorse rese disponibili in legge di bilancio. La definizione dei Lep avverrà a partire da una ricognizione della spesa storica dello Stato in ogni regione nell’ultimo triennio.
L’autonomia differenziata prevede anche la possibilità per le regioni di trattenere il gettito fiscale legato all’erogazione dei servizi per impiegarlo sul proprio territorio.
Il governo ha 24 mesi dall’entrata in vigore del ddl per varare uno o più decreti legislativi per determinare i Lep e gli importi. Mentre Stato e regioni avranno tempo cinque mesi per arrivare a un accordo. L’intesa può durare fino a dieci anni, può essere rinnovata oppure interrotta in anticipo previo avviso di almeno 12 mesi.
È prevista anche una “clausola di salvaguardia”. In sostanza il governo può sostituirsi alle regioni quando si dimostrano inadempienti oppure quando si verifica un pericolo grave per la sicurezza pubblica o è necessario intervenite per tutelare l’unità giuridica o economica.
Per evitare squilibri economici e ridurre i divari territoriali fra le regioni, è previsto inoltre un meccanismo perequativo. Secondo un emendamento presentato da Fratelli d’Italia e approvato al rush finale in Commissione, a tutte le Regioni, anche a quelle che non chiedono l’autonomia, arriveranno le stesse risorse per il finanziamento dei Lep. Il punto critico è l”invarianza di spesa“. La misura, in sostanza, deve essere “coerente con il vincolo degli obiettivi programmati di finanza pubblica e con gli equilibri di bilancio”. In pratica, denunciano le opposizioni, non c’è alcuna garanzia sulle coperture finanziarie tale da scongiurare il pericolo che la riforma “spacchi” il Paese. In origine era stato previsto un fondo per le regioni di quasi 5 miliardi, ma poi è stato prosciugato dal ministero dell’Economia con la precisazione che la riforma va attuata a bilancio invariato.
Le opposizioni sono sulle barricate e promettono battaglia, a cominciare dal Partito democratico. “La nazionalista Giorgia Meloni vuole passare alla storia per essere la presidente del Consiglio che ha spaccato l’Italia. È una giornata molto pesante. Meloni avvera il sogno secessionista della Lega. Ha ceduto a questo orrendo baratto per fini politici, per la riforma del premierato che cancella la Repubblica parlamentare, mettendo a repentaglio l’unità nazionale“, ha attaccato la segretaria del Pd Elly Schlein alludendo al ddl Casallati che introduce l’elezione diretta del presidente del Consiglio. La “madre di tutte le riforme”, secondo la leader di Fratelli d’Italia.
“Noi ora proseguiremo la battaglia parlamentare alla Camera ma serve una mobilitazione con tutte le altre forze politiche e sociali innanzitutto per spiegare gli effetti devastanti dell’approvazione di questa riforma”.
Stessi toni dal Movimento 5 stelle: “La battaglia continua in Parlamento e continueremo a farla in tutte le sedi: nelle Istituzioni e nel Paese”, ha detto il leader del M5s Giuseppe Conte. “Con il voto al Senato su uno scellerato progetto di Autonomia, spacca il Paese e svende il Sud a Salvini: lasciano in un vicolo cieco i territori più svantaggiati del Paese, anziché rilanciarli per il bene di tutti. Cade la maschera: non ci sarà nemmeno un centesimo per finanziare i servizi essenziali nei territori più fragili, visto che il progetto è vincolato all’austerità di bilancio. Rischiamo di avere venti sistemi regionali in ordine sparso che danneggeranno anche il Nord”.
La maggioranza di centrodestra invece festeggia. In testa il Carroccio. “È un passo importante verso un Paese più moderno ed efficiente, nel rispetto della volontà popolare espressa col voto al centrodestra che lo aveva promesso nel programma elettorale”, il commento del segretario della Lega Matteo Salvini. Secondo il padre della riforma Calderoli, “si è compiuto un ulteriore passo avanti verso un risultato storico, importantissimo e atteso da troppo tempo”.
Soddisfazione anche da Forza Italia. “Non si deve avere paura di questa sfida. I Livelli essenziali di prestazioni devono essere garantiti in modo uniforme sull’intero territorio nazionale, affinché ogni cittadino italiano abbia gli stessi diritti. Il testo garantisce queste analoghe opportunità nei diversi territori”, assicura il capogruppo azzurro al Senato Maurizio Gasparri. Insomma si tratta di “un passaggio necessario nella vita della Repubblica” mentre “il resto è propaganda della sinistra, che, come sempre, semina bugie”.
Il partito della premier invece ha messo l’accento sulla coesione territoriale. Il ddl “corona dopo decenni il desiderio di uno Stato più vicino ai cittadini attraverso la devoluzione dei poteri”, ha detto Fabio Rampelli, vice presidente di FdI alla Camera. “Indispensabile in questo senso l’uniformità dei Lep in tutti i territori italiani per evitare che aumenti la distanza tra Regioni ricche e Regioni povere. Ovvio che occorrerà disporre le risorse economiche necessarie al raggiungimento dell’equiparazione”.
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