Non una parola sul Paese devastato dalla guerra. Sulla carta geografica di Trump l’Ucraina non esiste più, ridotta a tornare provincia russa.
Il quadriennio di Joe Biden rischia di concludersi in modo disastroso, a causa di una politica estera fallimentare. Dopo la catastrofe dell’Afghanistan, gli Stati Uniti si sono lanciati in una costosissima guerra per procura contro la Russia, spendendo in poco meno di due anni 70 miliardi in aiuti finanziari, umanitari e soprattutto militari all’Ucraina. Il risultato è negativo: Vladimir Putin sta smembrando il Paese.
Oltretutto, quel che mai in politica estera dovrebbe accadere, Biden ha lacerato le due Camere, privando gli Stati Uniti della forza che deriva da una strategia coerente nel lungo periodo. I repubblicani non vogliono investire così generosamente per Kiev e Trump neppure ne parla, concentrato com’è sulla lotta contro l’immigrazione irregolare. Per l’Unione europea si ripresenta l’onere di una difesa comune, con un incremento di spese nel settore militare e l’impegno per un’unità politica alla quale i Paesi membri finora hanno rinunciato volentieri.
Lo statuto della Nato prevede che ogni Stato investa per la difesa il 2% del Pil nazionale, obbligo trasgredito sistematicamente dagli europei, avendo dal dopoguerra delegato la sicurezza nazionale agli Stati Uniti. Per questo Donald Trump ora può di nuovo minacciare, in caso di rielezione, di ridurre gli investimenti per le forze armate, costringendo i leader del Vecchio Continente a dolorosi tagli in altri settori. Altra intimidazione tipicamente trumpiana è la revisione dell’articolo 5 della Nato, che impone il dovere di difesa degli alleati aggrediti.
Nello stesso tempo il presidente russo prorompe con dichiarazioni aggressive, dando degli imbecilli agli ucraini che, trascinati da Boris Johnson, hanno cancellato un accordo già avviato. Il Cremlino non si ritirerà dai territori conquistati, ha aggiunto, dando la sensazione di seguire una strategia, che a Bruxelles invece sembra tutta da costruire, in un anno elettorale che potrebbe costringere il Vecchio continente a rivedere la propria retorica, sinora molto rigida.
La conseguenza sono le prese di posizione contrarie, e diverse tra loro, che si sono registrate da parte dell’Ungheria e della Slovacchia, ma non solo. Tant’è vero che il cancelliere tedesco Olaf Scholz in questi giorni ha lamentato lo scarso impegno di alcuni Paesi europei, senza fare nomi, nell’invio di armi a Kiev. Nello stesso tempo la Russia incalza, pur senza allestire un’offensiva vera e propria, costringendo l’Ucraina a impiegare molte munizioni, ormai inferiori alle necessità.
Il quadro è variegato, in generale però il sostegno al Paese aggredito diminuisce indipendentemente dalle scelte dei principali leader. Nel Congresso americano, infatti, dal 2022 il numero dei deputati in dissenso con le richieste di Joe Biden è aumentato progressivamente, indipendentemente dall’effetto Trump. La Casa Bianca quindi alza la pressione e convoca i leader del Congresso per trovare un accordo. Il motivo è che solo entro il 19 gennaio sarà possibile approvare il pacchetto di aiuti da 61 miliardi che Biden ha proposto, e che la Camera bassa americana ha sinora respinto.
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