Le azioni di Israele contro Gaza rappresenterebbero la volontà di compiere un genocidio sul popolo palestinese?
La Corte Internazionale di Giustizia dell’Onu ha avviato un processo contro Israele. La nazione è accusata di genocidio in relazione alle operazioni a Gaza. E ciò ha suscitato reazioni forti da parte del governo israeliano e del primo ministro Benjamin Netanyahu. Il processo è stato promosso dal Sudafrica, con l’appoggio di diversi altri paesi. L’accusa si basa su un dossier che afferma la violazione della Convenzione Onu sul genocidio da parte di Israele.
Israele, tuttavia, respinge categoricamente queste accuse. Secondo il governo israeliano le azioni intraprese nell’ambito dell’operazione a Gaza sono giustificate e mirano a difendere il paese da attacchi terroristici perpetrati da gruppi come Hamas. Di tutta risposta infatti, le dichiarazioni del portavoce del ministero degli Esteri israeliano, Lior Hayat, accusano il Sudafrica di essere il “braccio giuridico” di Hamas. E quindi indicano una percezione di motivazioni politiche e un potenziale sostegno a un’organizzazione considerata terroristica a queste accuse. Anche il primo ministro Netanyahu ha espresso il suo dissenso, sottolineando il paradosso percepito nella situazione. “Israele è accusato di genocidio mentre sta combattendo il genocidio”, ha affermato. Secondo il ministro Israele è costantemente minacciato da attacchi terroristici, e le operazioni a Gaza sono risposte necessarie per proteggere la sicurezza nazionale.
La denuncia presentata dal Sudafrica il 29 dicembre scorso si basa su un dossier di 84 pagine. In esso si afferma che le azioni di Israele mirano a distruggere una parte sostanziale del territorio palestinese e del gruppo nazionale, razziale ed etnico. Il documento cita dichiarazioni pubbliche di leader politici israeliani che, secondo gli accusatori, prospettano soluzioni come deportazioni di massa o la realizzazione di un’altra Nakba, configurando così la fattispecie del genocidio. Il termine “genocidio” implica l’intento di distruggere tutto o parte di un gruppo nazionale, etnico, razziale o religioso identificato. Israele respinge queste affermazioni, sostenendo che le azioni militari sono mirate a difendersi e che non c’è alcuna intenzione di distruggere gruppi umani identificati.
Il processo si preannuncia complesso e si avvia con due giorni di dibattimento, uno dedicato all’accusa e l’altro alla difesa. La decisione preliminare della Corte potrebbe imporre a Israele di cessare le operazioni a Gaza, ma è importante notare che la Corte non ha gli strumenti per forzare tale applicazione. Come abbiamo visto, Israele rigetta le accuse con veemenza, definendo l’intera situazione come un mondo alla rovescia. L’ex premier israeliano Naftali Bennett paragona la seduta della Corte di giustizia a un “Affare Dreyfus del 21esimo secolo”. Definisce l’intera situazione come uno spettacolo di ipocrisia, antisemitismo e vergogna. Il governo israeliano sostiene che la presentazione del ricorso distrarrà il mondo da sforzi più urgenti e che le accuse di genocidio sono prive di fondamento.
La posizione degli Stati Uniti, espressa dal segretario di stato Antony Blinken, riflette il sostegno a Israele, dichiarando che la presentazione del ricorso distoglie il mondo da sforzi più importanti e che l’accusa di genocidio è infondata. La questione si complica ulteriormente con il coinvolgimento del Cile, che ha annunciato l’intenzione di rivolgersi alla Corte penale internazionale per chiedere un’indagine sull’operato del governo di Israele nella Striscia di Gaza. Questo amplia il contesto internazionale della situazione, coinvolgendo diverse nazioni con posizioni e interessi vari.
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