Israele vuole tornare a far paura. Quindi i giornalisti sono solo una scorta mediatica del massacro? E’ la domanda posta da Raffaele Oriani.
Raffaele Oriani ha collaborato con il Venerdì, settimanale di Repubblica, per dodici anni. Ha dato le dimissioni con una lettera ai colleghi, per spiegare i motivi del suo dissenso dalla linea editoriale. Ha protestato contro l’immensa reticenza della stampa europea, e anche contro Repubblica, perché, in un caso fra gli altri, la notizia di due famiglie massacrate è finita in ultima riga a pagina 15.
Il reporter per la verità pone un problema che va oltre le scelte della testata per la quale lavorava, perché sostiene che quel che accade nella Striscia di Gaza ha a che vedere con i limiti della nostra tenuta etica. Com’è possibile, in altre parole, che la civiltà umana riesca a raccontare e giustificare uno sterminio così folle, impaginandone le cronache assieme ad altre notizie, ritenute più importanti per il pubblico della testata? Che cosa c’è di accettabile in una strage di 23mila civili innocenti? E’ un dato di fatto tra gli altri o un insulto all’umanità così come la vogliamo?
Raccontare il massacro per renderlo accettabile
Un titolo accattivante, le foto, la cronaca di una guerra nella quale la specie umana dimostra di essersi superata ancora una volta nella produzione di morte. E il massacro diventa leggibile, razionalizzato e spiegato nelle sue motivazioni, anche se la produzione di morte viene effettuata con un’efficienza tecnica e un’organizzazione razionale che lasciano senza parole. Ma se ne farà un dibattito. E dopo un’opinione scandalizzato, ecco un’altra opinione, stavolta di un sostenitore di Israele. Dopo l’incredibile, improvviso e travolgente pogrom di Hamas del 7 ottobre, con stupri, caccia all’uomo, massacri di civili nelle loro abitazioni e torture, e circa 1.400 vittime, ecco Israele reagire con più di 23mila morti registrati al 10 gennaio. In maggioranza bambini.
Qualunque cosa succeda, per quanto sia mostruosa e disumana, l’uomo riesce a raccontarla con professionale precisione. E diventa storia, argomento di studio e di discussione scientifica. Il coinvolgimento emotivo del cronista serve a dar credibilità alla rappresentazione degli eventi, facendoli accadere come davanti agli occhi del lettore, che può comprenderli anche nelle loro motivazioni. La narrazione professionale, inoltre, mantiene nel contempo il sufficiente distacco dai fatti, che se fossero vissuti troppo da vicino, con eccessiva empatia, diventerebbero insopportabili.
La raffinata crudeltà dell’incivilimento occidentale
Si vorrebbe credere che non siamo così feroci. E’ bello sentirsi migliori, superiori, civili. Eppure a scuola ci hanno insegnato Terenzio, che diceva Homo sum, humani nihil a me alienum puto. Sono un uomo e credo che nulla di umano mi sia estraneo. Ma in quel che è umano si trova anche qualcosa di orribile, che secoli di civiltà hanno solo messo in ombra, senza superarlo. Raffaele Oriani ha creduto che si dovesse porre fine al massacro sotto la luce del sole, non solo raccontarlo. Ha provato orrore. Ma non ha potuto esprimerlo fino in fondo, perché questa non è l’era della tragedia, bensì delle raffinate interpretazioni che accettano l’accaduto.
Eppure, non si può giustificare qualunque cosa faccia il governo Netabyahu, ogni suo atto di violenza, razionalizzando uno sterminio di innocenti di cui non si vede ancora la fine. Per fedeltà e devota ubbidienza all’alleato atlantico non bisogna dunque nemmeno reagire né condannare il massacro dei civili palestinesi? Occorre limitarsi, disciplinatamente, a raccontare il tutto senza infastidire l’esercito castigatore? Nessuno può permettersi di fermare l’esercito di Tel Aviv? Anche Raffaele Oriani ha la sua opinione e l’ha scritta al termine della sua lettera ai colleghi: non avendo nessuna possibilità di cambiare le cose, con colpevole ritardo mi chiamo fuori. Perché il massacro dei palestinesi è la vergogna di tutti noi.