Fuoco incrociato tra il leader israeliano e turco, quest’ultimo richiama ad uno dei periodi più bui della storia dell’Umanità.
Il conflitto israelopalestinese ha implicato la formazione di uno spartiacque definito e la sua conseguente degenerazione: i sostenitori israeliani, associati al nazismo di Hitler, e i sostenitori palestinesi, tacciati di antisemitismo. Due accuse che, per quanto implichino un ragionamento relativamente comprensibile, mantengono un profondo livello di infondatezza. Non vi è antisemitismo in coloro che ritengono che una vita palestinese valga tanto quanto una vita israeliana e, in egual maniera, risulta difficile associare l’annientamento dei 2milioni di civili stabiliti a Gaza alla Shoah.
“Quello che fa il premier israeliano” – ha tuonato il Presidente turco Erdogan – “Non è da meno rispetto a quello che ha fatto Adolf Hitler”. Dura sentenza che ha seguito la risposta pungente ed infuocata del diretto interessato: “Erdogan – è l’ultimo che può farci prediche” – Netanyahu ha ribattuto al “rivale” esponendo sul tavolo la carta della censura del governo turco ai danni dei giornalisti e soprattutto della persecuzione dei curdi sul territorio. Ha poi sottolineato: “Il nostro è l’esercito più morale al mondo”. Vaneggia su questo il leader israeliano, dopodiché minaccia il leader turco di colpire gli esponenti di Hamas rifugiati entro i confini da lui presieduti.
Vano quindi ogni tentativo di mediazione. E’ certo – purtroppo – che il potere dia alla testa laddove aspirazioni e manie di supremazia comportino una disconnessione dalla realtà. Il fuoco incrociato tra i due leader allarma – e non poco – le potenze occidentali che, fino all’ultimo, hanno sperato che il conflitto rimanesse vincolato nei confini della Striscia di Gaza. E se Netanyahu non può essere associato ad Adolf Hitler, nulla vieta di considerarlo un incontrollabile guerrafondaio. Su questo, è difficile dibattere.
La guerra imperversa in Medioriente
Mentre Netanyahu e Erdogan giocano a ping-pong, a Gaza la situazione precipita. La guerra imperversa a sud della Striscia, mentre in prossimità del confine nord gli alleati libanesi hanno confermato il lancio di 90 unità militari – tra droni e razzi – destinati al territorio israeliano. Ed ecco dunque che i destinatari dell’ira di Hezbollah rispondono al fuoco, minacciando di provvedere alla loro neutralizzazione attraverso un’azione concreta delle forze armate. Il capo di stato maggiore Herzi Halevi ha ordinato all’esercito di mantenere il massimo stato di allerta e di tenersi pronti “a combattere se necessario”. Gran parte dei soldati dell’Idf si trovano attualmente a Khan Yunis, dove “sono stati eliminati molti terroristi e distrutti gli imbocchi dei tunnel”.
Nel corso dell’ennesima operazione militare israeliana hanno perso la vita 20 palestinesi, uccisi nelle vicinanze dell’ospedale Al-Amal. Il medesimo destino è toccato a sei palestinesi stabiliti in Cisgiordania, dove l’agghiacciante pratica della “caccia alle streghe” sta sfuggendo di mano ai comandi israeliani. In particolare un drone ha colpito il campo profughi di Nour Shams, nei pressi di Tulkarem – ennesimo tassello che si aggiunge ad un’escalation tragicamente pericolosa. Solo pochi giorni fa, un raid israeliano ha provocato la morte di un comandante dei Pasdaran iraniani a Damasco.
Secondo quanto riferito dall’emittente araba Al Jazeera, nelle ultime settimane lo stato ebraico avrebbe intensificato i colpi mirati sul territorio della Cisgiordania per contrastare la resistenza palestinese locale. I raid israeliani si sono concentrati per lo più a Tulkarem, Nablus, Hebron e Qalqilya. La fiamma accesa dai terroristi di Hamas il 7 ottobre, ed alimentata dall’incontrollabile leader israeliano, si sta trasformando in un pericoloso incendio che invade l’intero Medioriente. Per questa ragione, il Segretario di Stato americano – Anthony Blinken – tornerà nelle zone rosse la prossima settimane, in modo da fungere da mediatore tra Arabia Saudita, Qatar, Emirati Arabi, Cisgiordania ed ovviamente Israele.