Mentre il resto del mondo si lascia andare a feste e sorrisi, a Gaza i bambini palestinesi danzano con la morte il giorno di Natale.
Soldati britannici e tedeschi abbandonano le trincee per stringersi la mano. E’ il giorno di Natale dell’anno 1914 e non vi è spazio per l’odio. Risate e canzoni riecheggiano sul campo di battaglia, la quiete dopo e prima della tempesta. Non fu un evento organizzato, bensì frutto dell’umanità dell’esercito. Più di un secolo di storia non sono serviti ad intenerire i cuori ed illuminare le menti. Centonove anni dopo, le bombe oscurano nuovamente il suono dei canti e i bambini, che dovrebbero scartare i regali e condividere il tradizionale pranzo con la famiglia, si trovano invece a danzare con la morte. “Ci vorrà tempo, ma siamo uniti” – le parole di Benjamin Netanyahu, pronunciate dalla sua sicura e calda dimora – “C’è una cosa che non faremo: non ci fermeremo fino alla vittoria”. Una sentenza ed una condanna.
Nella notte tra il 24 e il 25 dicembre un raid israeliano ha colpito il campo profughi stabilito a Maghazi, nella zona centrale della Striscia di Gaza. Il Ministero della Sanità locale ha denunciato la morte di 70 civili, mentre il portavoce Ashraf al-Qudra ha tenuto a sottolineare che la bomba fatale ha distrutto un intero isolato residenziale. Poco più a nord, a Jabalia, 10 persone hanno perso la vita a causa di un secondo raid aereo – tutte appartenenti al medesimo nucleo famigliare. “Questa è l’unica maniera per far tornare gli ostaggi” – le parole del leader israeliano – “eliminare Hamas e assicurarci che Gaza non sia più una minaccia per il paese”. Peccato che operazioni militari di tale intensità possano implicare il coinvolgimento degli stessi israeliani trattenuti dai terroristi – come, di fatto, è avvenuto.
Gaza danza con la morte, a Natale
L’Idf ha spiegato che l’offensiva potrebbe durare mesi, soprattutto in merito alla conquista della città di Khan Younis, a sud. Hamas ha allargato il proprio raggio di azione ed ha studiato dei metodi più invasivi ai danni dell’esercito israeliano che, nelle ultime ore, ha cominciato a produrre un primo bilancio delle vittime dei miliziani nemici. Sedici soldati hanno perso la vita durante i combattimenti, mentre il corpo di cinque ostaggi è stato rinvenuto all’interno di una rete di tunnel scavati in prossimità del campo profughi di Jabalia. “La guerra ha un prezzo pesante” – le parole tratte dal monologo di Bibi per il suo popolo.
Nel frattempo sua moglie lancia un accorato appello a Papa Francesco. “Le chiedo un suo personale intervento” – ha detto Sarah Netanyahu – “potrebbe far pendere l’ago della bilancia e salvare vite preziose”. Tuttavia, le parole di Sua Santità non sono riservate solo agli ostaggi israeliani, bensì anche alle vittime palestinesi. Durante la consueta omelia, egli ha denunciato i terroristi sì, ma anche il principio motore del conflitto. “Il Principe della Pace viene rifiutato dalla logica perdente della guerra“ – le parole del Pontefice – “contro il ruggire delle armi che anche oggi gli impedisce di trovare alloggio nel mondo”. Ebbene, i mitra imbracciati dalle forze armate israeliani ruggiscono tanto quanto quelli dei terroristi. Ad entrambi è rivolto il disperato invito di Papa Francesco.