La popolazione palestinese, decimata dalle bombe, ora deve combattere contro la proliferazione dei batteri e il diffondersi delle malattie.
Il motore distruttivo della guerra travolge intere famiglie di sfollati. Le bombe, i proiettili, l’esercito e i carri armati non rappresentano certo gli unici nemici contro i quali le popolazioni in conflitto si vedono costrette a combattere. Esiste un avversario ben più insidioso, che trova nelle terre devastate l’ambiente perfetto per sopravvivere e proliferare. Le ferite aperte e le condizioni igieniche precarie contribuiscono inesorabilmente alla diffusione delle malattie, i cui sintomi – se non controllati – causano lo sviluppo di interi focolai.
Un’escalation che colpisce indistintamente uomini, donne e bambini in particolare, resi fragili ancor più dalla perdita dei loro cari. I volontari che prestano servizio delle zone rosse osservano con i loro occhi la morte di un’intera popolazione, decimata prima dal fuoco e poi dalle epidemie. Gli esperti dell’Onu hanno spiegato che, allo stato attuale, esiste la concreta possibilità che i palestinesi vengano travolti da ben 14 ceppi infettivi. Le patologie meno gravi, trattate generalmente con antibiotici e farmaci, divengono letali laddove il sistema sanitario risulti al collasso. I virus divengono così alleati inconsapevoli dell’esercito israeliano: uccidono coloro che sfuggono al mirino dei soldati.
Epidemie a Gaza
“E’ iniziata la tempesta perfetta per la diffusione delle malattie” – la sentenza del portavoce UNICEF, James Elder – “Ora si tratta di capire quanto diventerà grave la situazione”. Dallo scoppio del conflitto sono stati neutralizzati più di venti ospedali, ragion per cui i feriti sono stati trasferiti nelle ultime undici strutture sanitarie operative. Centinaia di persone vivono sotto lo stesso tetto, condividono il medesimo bagno e dividono i pochi metri quadri a disposizione con feriti e malati gravi. La diarrea è tra le prime cause di morte infantile: implica la disidratazione ed è impossibile contrastarla a causa della mancanza di acqua potabile sul territorio.
Non vi è cibo, né farmaci necessari per sopperire alla debilitazione del sistema immunitario dei pazienti. I mesi freddi hanno poi portato con loro i più semplici ceppi stagionali. La comune febbre, in guerra, si traduce in polmonite. Inoltre, l’assenza di carburante impedisce a medici ed infermieri di sterilizzare gli strumenti utili alle operazioni chirurgiche. “La maggior parte dei rifugi non ha a disposizione acqua pulita, bagni o docce” – ha spiegato la portavoce ONU, Juliette Touma. Il 93% della popolazione palestinese, vincolata nei confini di Gaza, non consuma quantità di cibo sufficienti, tantomeno assume la giusta quantità di liquidi per scampare alla morte.