A Gaza i giornalisti muoiono insieme ai civili, vengono annientati senza possibilità di diffondere informazioni e aggiornamenti.
Il 10 novembre scorso 750 giornalisti, associati a diverse testate internazionali, hanno firmato un documento di protesta contro il governo israeliano. Un simbolo, questo, della lotta contro il velo di censura adagiato delicatamente dai diretti interessati sul conflitto israelopalestinese. Il primo segnale di allarme è stato lanciato ad ottobre da Reuters, i cui vertici hanno accusato i comandi militari di aver colpito deliberatamente la stampa stabilita sul territorio. Un attacco missilistico, consumato a sud del Libano, apparentemente mirato, che ha contemplato la morte del reporter Issam Abdallah.
“Prendere di mira i giornalisti è un crimine di guerra” – le parole infuocate di Jonathan Dagher, responsabile di RSF – “Non c’è alcuna giustificazione per colpire i giornalisti che coprono una zona in conflitto”. Esistono infatti alcune categorie di civili che sono tutelate dal diritto internazionale umanitario. Medici ed infermieri sono necessari per l’assistenza dei feriti, mentre reporter e giornalisti svolgono il ruolo di garanti della verità, diffondendo aggiornamenti periodici su quanto i loro occhi hanno osservato durante la permanenza sul territorio.
I giornalisti muoiono a Gaza
Dall’inizio del conflitto si contano 94 giornalisti morti a causa l’imprevedibilità dei proiettili vaganti e sotto il fuoco delle bombe. Gran parte di loro sono palestinesi. “L’occupazione israeliana sta cercando di oscurare la narrazione palestinese” – le dichiarazioni dell’ufficio stampa governativo (GMO) – “ha fallito nel tentativo di spezzare la volontà del nostro grande popolo”. Le ultime vittime delle forze armate israeliane sono Adel Zorob, Haneen Al-Qashtan, Rami Badir e Assem Kamal Musa – deceduti in meno di tre giorni. La lettera firmata dai 750 giornalisti denuncia proprio crimini come questo.
“Scriviamo per chiedere la fine delle violenze contro i giornalisti a Gaza” – si legge, premessa che segue parole quali “pulizia etnica”, “genocidio” ed “apartheid”. I reporter esortano le potenze occidentali ad intervenire, in modo che i professionisti possano godere di maggiore tutela della loro sicurezza e soprattutto della loro vita. Laddove questi ultimi si vedano impossibilitati nello svolgimento del loro lavoro, questo implicherebbe la diffusione di informazioni di parte. I giornalisti fanno da garanti in un mondo nei quali gli unici a godere del diritto di parola sono le forze armate israeliane e i militanti di Hamas. Ricoprono il ruolo di mediatori oggettivi, consentendo alla popolazione globale di osservare il conflitto attraverso i loro occhi.