“Non sei morto, ma non ti senti vivo” – le parole di uno dei marine ucraini inviati a Dnipro per conquistarne le sponde.
I compagni imprigionati in una condizione di limbo, vincolati all’interno delle trincee, mentre i commilitoni inviati a Dnipro tentano disperatamente di sfondare le linee difensive russe. Il governo ucraino persevera nella convinzione di poter conquistare successi militari importanti, mentre i soldati ammettono di sentirsi ad un passo dalla morte. Per quanto le forze armate ucraine abbiano risposto all’invasione nemica con una notevole potenza difensiva, i russi possiedono unità aeree e missilistiche letali.
Le sponde del fiume sono divenute un girone infernale, il cui scenario contempla il disorientamento dei marine e il loro tentativo di fuggire al fuoco degli attacchi attraversando fiumi di cadaveri. Testimonianze che confutano i monologhi del leader e dei comandi militari, i quali sostengono di aver contrastato efficacemente l’offensiva russa. I combattimenti si stanno concentrando in prossimità del villaggio di Krynky. “Eravamo seduti in acqua di notte e siamo stati continuamente bombardati” – il racconto Maksym, uno dei soldati – “I miei compagni stavano morendo di fronte ai miei occhi”.
Narrazioni opposte
L’esercito ha paura di attraversare il fiume Dnipro, le cui acque fungono da Caronte per le anime destinate all’Inferno. “Le persone che finiscono lì, non sono preparate psicologicamente” – le parole disperate di Maksym – “La riva sinistra è come un purgatorio. Non sei morto, ma non ti senti vivo”. Gran parte dei suoi compagni di viaggio hanno perso la vita, senza possibilità di scampare in nessun modo alla morte imminente. Non esistono di fatto punti di osservazione attraverso i quali avvistare i possibili nemici o individuare gli aerei prima dello scancio dei missili.
Scegliere di attraversare il fiume, significa accettare il rischio – profondamente tangibile – di chiudere gli occhi per sempre, inutilmente. “Non è nemmeno una battaglia per la sopravvivenza” – spiega il soldato – “è una missione suicida”. Parole accorate che sembrano indifferenti al leader ucraino, tutt’oggi convinto di poter vincere la guerra contro il gigante russo. Il plotone al quale Maksym apparteneva ha atteso tre ore l’arrivo di una nave per condurli in salvo, attimi interminabili di massima allerta. “Nessuno è sopravvissuto senza ferite” – ha concluso. Una versione totalmente opposta a quella espressa nel consueto monologo del Capo di Stato e dei vertici militari, i quali hanno sostenuto di essere riusciti a creare avamposti e teste di ponte lungo la sponda di occupazione russa.