La terza fase della guerra d’Ucraina potrebbe essere l’ultima. Tutti i fattori, infatti, giocano a favore della Russia, sempre più prevalente.
Nessuno si è scandalizzato per il ritorno di Vladimir Putin sulla scena internazionale. A lungo è stato dipinto come nemico numero uno dei valori occidentali, dittatore e criminale, con un mandato d’arresto che pendeva su di lui. Ma il capo di Stato che oggi si trova realmente in difficoltà è Zelensky. Il quale non riesce più a rappresentare l’unità di tutto il Paese, anzi sta diventando un simbolo di disgregazione.
Lo dimostrano i contrasti fra il presidente e le forze armate, a cominciare dal comandante in capo Valedy Zaluzhny, che Zelensky ha iniziato a trattare come un avversario politico. Corrono voci, infatti, di una possibile candidatura del generale alle prossime elezioni presidenziali. Proprio contro Zelensky, che ha interrotto le comunicazioni con quello che considera un rivale, preferendo confrontarsi con altri esponenti, come il capo delle forze di terra Oleksandr Syrsky o il comandante dell’aeronautica Mykola Oleschuk.
La disgregazione della catena di comando di Kiev
Agli occhi di Zelensky, Zaluzhny ha il grave torto di aver detto come stanno le cose, ovvero che la guerra è arrivata a un punto morto. Le forze russe si sono insediate nel Sud-Est del Paese e l’Ucraina, l’ha ammesso il comandante delle forze armate di Kiev in persona, è sempre più in difficoltà. Lo stallo favorisce i russi, che stanno logorando il Paese occupato. Alle dichiarazioni di Zaluzhny si è aggiunto l’intervento del sindaco di Kiev Vitali Klitscko, che ha dato voce al malumore di molti cittadini ucraini, stupiti sia della scarsa preparazione dell’esercito che dell’atteggiamento arrogante di Zelensky.
Troppo sicuro di sé, il presidente, al punto di non ammettere mai che si sarebbe arrivati a un’evidente prevalenza della Russia. Anche perché i reparti migliori dell’esercito di Kiev sono stati distrutti; il Paese anzi è in tale difficoltà da dover dipendere totalmente dagli alleati occidentali. I quali a loro volta si trovano in grande difficoltà al momento di giustificare ingenti spese pubbliche a favore di uno Stato che sembra non avere più alcuna possibilità di vincere la guerra.
Gli annunci di Zelensky si sono ritorti contro di lui
Una semplice analisi delle ultime notizie mostra che il Cremlino ha potuto aumentare il personale militare di 170mila unità, contando quindi su un organico più che doppio rispetto all’Ucraina, che invece deve schierare donne e ragazzi per arrivare a 500mila soldati. E si riconosce inoltre che, malgrado le sanzioni europee e i proclami di Kiev, l’industria bellica russa è molto più efficiente di quanto l’Occidente si aspettasse. Le truppe di Putin non sono rimaste senza rifornimenti e senza munizioni.
L’Ucraina, inoltre, non ha più la vivacità e l’efficacia dimostrata nella prima fase della guerra. Nella primavera del 2022, la Russia ha fallito la guerra lampo, subendo perdite umane molto pesanti senza riuscire ad arrivare a Kiev nelle prime settimane. Al contrario, sorprendentemente, l’esercito del Paese aggredito ha potuto fermare l’invasore. Operazione tuttavia molto onerosa: l’Ucraina ha esaurito rapidamente tutto il proprio arsenale, ottenendo però l’aiuto dell’Occidente, che così le ha evitato la disfatta. L’esercito russo, costretto a impegnarsi su un fronte troppo ampio, per effetto di un errore strategico, ha dovuto lasciare Kharkiv a Nord e Kherson a Sud e ripiegare. Ma non era affatto segno del successo della controffensiva ucraina.
L’illusione ottica della controffensiva ucraina
Da quel momento, invece, il generale Surovikin, con l’approvazione del ministro Shoigu, ha riposizionato l’esercito, ritirandosi dalla sponda occidentale del fiume Dniepr, dove rischiava l’isolamento e la decimazione. La città di Kherson, che non poteva più essere rifornita, è stata evacuata di 115mila civili. A quel punto, l’esercito russo si è assestato sulla sponda orientale del Dniepr e rinforzato, grazie all’arrivo dei riservisti mobilitati da Putin. E’ stata la manovra vincente, perché è stata creata la cosiddetta linea Surovikin, che non ha più ceduto.
La Russia ha consolidato le posizioni, con quattro linee di difesa in tutto, fatte di fortificazioni, trincee e campi minati. In Occidente queste scelte tattiche dei russi non sono state ben comprese, dando luogo a volte a entusiasmi immotivati: la ritirata di Surovikin infatti era segno di forza, non di debolezza. Neppure il successivo siluramento di Surovikin, accusato di complottare con Prigozhin, ha indebolito l’esercito invasore.
Promesse entusiasmanti che non si sono mai realizzate
La prima fase della guerra è finita così, mentre la seconda fase dava vita a battaglie sanguinose, città per città, edificio per edificio e bosco per bosco. I cecchini, inevitabilmente, sono diventati decisivi. Le forze russe hanno bombardato in particolare le infrastrutture energetiche ucraine. La supremazia russa nei cieli si è fatta quanto mai evidente, benché Zelensky insistesse sul capovolgimento di fronte che si sarebbe ottenuto grazie alla consegna degli F-16 da parte degli alleati. Oltretutto, l’Ucraina, per volontà di Zelensky, si è impegnata nel tentativo di riprendersi la Crimea, obiettivo che si è dimostrato finora superiore alle proprie forze.
Le grandi aspettative legate agli F-16 e alla Crimea sono andate deluse, col risultato di indebolire il prestigio del capo dello Stato. Altro fattore di debolezza, per l’Ucraina, riguarda la mancanza di sistemi di sminamento efficaci. L’esercito russo ha potuto collocare un gran numero di mine – armi vietate dall’Onu, va ricordato – senza che l’Ucraina potesse porvi rimedio.
L’esercito ucraino non era preparato alla guerra e ora soffre
La terza fase così è stata inaugurata dall’inverno, e ha visto i russi avanzare in alcuni punti, rinvigorita dall’arrivo di nuove truppe. Kiev invece ha dovuto rinunciare a buona parte delle armi promesse dagli alleati e mai consegnate. Si combatte in questi giorni per prendere il controllo di infrastrutture, ponti e ferrovie della zona di Kherson, strategica per i traffici diretti in Crimea.
Quest’ultima infatti sarà decisiva, ben più del Donbass. Se l’Ucraina si riprenderà la penisola sul mar Nero, l’influenza russa nella regione sarà destabilizzata. Dalla Crimea passa la logistica diretta verso la Turchia, cruciale per la Russia. A questo scopo, pensando alla Crimea, le battaglie per il controllo di entrambe le sponde del fiume Dniepr sono essenziali. Secondo il Pentagono, la guerra potrebbe decidersi proprio in quell’area.