Imperversa la guerra, il fuoco travolge la popolazione palestinese e il numero delle vittime lievita inesorabilmente ogni giorno.
Oltre 350 palestinesi hanno perso la vita, mentre 1.900 giacciono feriti nei campi profughi e nelle poche strutture sanitarie attive. Tenendo conto dell’ultimo resoconto diffuso, il numero delle vittime sale ora a 17.177, di cui il 70% sono donne e bambini. Analizzando i dati emerge chiaramente un accanimento consumato ai danni della popolazione che, per quanto in parte sostenitrice di Hamas, ha poco a che fare con l’attentato dello scorso 7 ottobre. Nel frattempo le colonie israeliane illegali oltreconfine si accaniscono contro i palestinesi residenti in Cisgiordania e in Libano. Quella che nasceva come una lotta contro il terrorismo, appare più un’operazione di pulizia.
Il fuoco delle bombe non produce alcuna distinzione, chiunque si trovi nel suo raggio d’azione – nel luogo sbagliato, al momento sbagliato – perde inesorabilmente la vita. Ed è proprio ciò che è accaduto ad un giornalista di Reuters: Amnesty International ha denunciato la morte di Issam Abdallah, oltre al coinvolgimento di altri sei reporter, rimasti feriti in seguito al lancio di alcuni missili israeliani. E mentre i civili fuggono disperatamente dalle zone rosse, ammassandosi al confine con l’Egitto – presso il valico di Rafah – le Nazioni Unite parlano di “situazione apocalittica”.
Il sapore della vendetta
Le forze armate israeliane si preparano all’incontro corpo a corpo con i terroristi. Nella giornata di ieri, 7 dicembre, l’esercito ha combattuto contro Hamas ed ha ucciso due miliziani che tentavano di fuggire all’interno dei tunnel. I soldati si addentrano progressivamente nella città principale, la quale si è tramutata in un campo di battaglia disabitato – la perfetta location di un film apocalittico. Nel frattempo immagini agghiaccianti dei prigionieri palestinesi invadono il web. Scatti che la popolazione occidentale conosce molto bene, in quanto simbolo di una civiltà sull’orlo del collasso.
Le principali potenze europee e statunitensi associano immagini di questo tipo alla furia islamica. Rimarranno indelebili i video degli esponenti dell’Isis che, con inquietante freddezza, decapitavano i prigionieri dopo averli obbligati in ginocchio. Per questa ragione gli scatti dei prigionieri palestinesi, denudati, derisi e costretti all’umiliazione pubblica hanno prodotto un certo sgomento. Questa volta non è il Medioriente a manifestare odio e violenza, bensì uno Stato figlio dell’Occidente. Una realtà, questa, che l’Ue e gli Stati Uniti difficilmente riusciranno a digerire.