La pausa umanitaria non basta a sanare le conseguenze degli attacchi israeliani: le strutture sanitarie palestinesi sono al collasso.
Medici senza frontiere ha raggiunto Gaza lo scorso 14 novembre, in concomitanza con l’irruzione dell’esercito israeliano all’interno dell’ospedale Al-Shifa. I volontari hanno incontrato una realtà devastante: il primo giorno hanno assistito oltre 750 pazienti, riuscendo a visitarne solo un quarto. Per quanto la pausa umanitaria risulti necessaria per concedere ai palestinesi un respiro di sollievo, non basta certo a sanare quanto le forze armate sono riuscite a distruggere in poche settimane. La mancanza di carburante debilità l’intero sistema di soccorso: non si può cucinare, è impossibile far bollire l’acqua in modo da depurarla e non si possono sterilizzare gli strumenti di assistenza.
“Qui le vite svaniscono in una frazione di secondo” – ha spiegato Nicholas Papachrysostomou, coordinatore dell’operazione di Medici senza frontiere – “Perdere qualcuno o qualcosa è una sofferenza costante”. L’evacuazione repentina degli ospedali principali poi, un’imposizione dell’esercito – mossa dalla convinzione che vengano utilizzati come base terroristica, ha costretto medici ed infermieri ad operare all’interno di strutture primarie, non certo attrezzate per il numero di pazienti gravi in significativo aumento. MSF ha denunciato la diffusione di infezioni di qualsiasi tipo, diarrea, patologie croniche, ma anche tagli profondi, ustioni e – nei casi peggiori – l’amputazione degli arti a freddo.
“Lavoro 24 ore al giorno, tutti i giorni” – l’appello disperato del dottor Hafer Abukhussa – “sappiamo di essere in pericolo in qualsiasi momento”. Secondo la sua testimonianza, il personale sanitario accoglie ogni giorno dai 100 ai 500 rifugiati e pazienti gravi, un incremento causato appunto dall’evacuazione generale degli ospedali. Egli ha inoltre raccontato di un bambino, giunto in ospedale con un arto amputato. Il piccolo ha subìto un’operazione importante e, una volta sveglio, ha chiesto dove fosse la sua famiglia. Un aneddoto straziante, che tuttavia dipinge chiaramente ciò che si sta consumando inesorabilmente.
“Molti pazienti sono senza casa” – le parole colme di dolore di Abukhussa – “perché costretti a fuggire o perché la loro abitazione è stata distrutta”. Alcuni indossano gli stessi vestiti da giorni; il fuoco ha raso al suolo ogni ricordo, bene materiale e di prima necessita a disposizione. Nonostante la pausa umanitaria e il rilascio degli ostaggi, egli ha ribadito ulteriormente la mancanza di cibo, elettricità e di dispositivi di assistenza sanitaria efficaci. Al termine della pausa umanitaria, la morte tornerà ad invadere quotidianamente la vita dei cittadini di Gaza, redendo vano ogni tentativo di ripresa.
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