Due popoli, due Stati. E’ la frase che abbiamo sentito pronunciare molte volte in queste settimane, proprio mentre Gaza veniva distrutta.
Si può forse sopportare il dolore e la perdita di ogni cosa, più difficile accettare la beffa, quando il luogo dove vivi in poche settimane diventa una terra senza orizzonti. Edifici e strade distrutte, ospedali presi d’assedio, morti e grida ovunque. Mente il mondo politico occidentale si strappa le vesti per Kiev dopo essersi voltato anni dall’altra parte per quanto accadeva nel Donbass ora resta a guardare e balbetta. Le stelle di Davide riaffiorano sui muri. Sembra che il problema sia questo.
Qualche disadattato si compiace a fare il nazista ed ecco che si immagina l’avvento di un Quarto Reich proprio mentre chi dice di temere le stelle sui muri decide indisturbato la distruzione di un luogo dove vivono strette ed in povertà due milioni di persone. Per iniziare a comprende la follia si deve osservare il vorticoso marciume delle geopolitica e constatare, attoniti, che ne siamo dentro. Dalla testa ai piedi.
Un popolo senza futuro
Ma la parte peggiore deve sempre arrivare, perché non c’è fine. Se si arriva alla cenere, il disastro rinascerà da sé stesso. Le labili tregue che ci consente la ragionevolezza sembrano adombrare un altro mondo ma sempre in ombra questo mondo rimane. La follia tuttavia non impedisce la freddezza del calcolo, di tanto in tanto. E, peggio, spesso è proprio un calcolo che fa da impalcatura alla follia, quando ha i lineamenti instabili e curiosi come nei mostri del Goya e guarda oltre confine. Guarda, calcola e decide. E così ora, sembra. Perché la reazione su Gaza è così abnorme che sembra nascondere un proposito diverso rispetto a quello rappresentato dall’abile sartoria con cui hanno cucito il vestito della vendetta su Hamas.
C’è altro. Se distruggi una terra al punto che diventa impossibile per chi la abita ricostruirla il fine è quello di non veder riscostruito nulla. E la rinascita, qualora venisse concessa, avverrà solo all’ombra di un’altra bandiera. Bibì il piccolo, re pro tempore d’Israele non ha mai pronunciato in questi giorni neri e senza futuro per i palestinesi il rassicurante mantra Due popoli due Stati con cui, mentre le esplosioni devastavano Gaza le leadership occidentali si lavavano la coscienza. E le mani. E se Benjamin Netanyahu quella frase non la dice, quando sarebbe lì a servire da facile orizzonte di pacificazione per giustificare l’odio del presente è perché non è proprio nel suo orizzonte, quella frase. E non vuole gli venga rinfacciata, in futuro.
La verità è dura e semplice: per il premier di Gerusalemme in futuro dei palestinesi non esiste. Non è mai esistito e meno che mai ora, quando si sta così solertemente adoperarlo per cancellare ciò che ne resta, dei loro giorni a venire. L’esercito di Israele non sta aprendo un varco tra le macerie di Gaza per stanare le milizie assassine di Hamas, perché tra simili si cercano. Quel tracciato sarà il percorso, inverso attraverso cui i palestinesi di Gaza sono destinati ad andare via, nei sogni di Gerusalemme. Un’altra Nakba, un esodo verso il Sinai egiziano o in qualsiasi altro campo profughi, precario e indifeso. L’eccidio del 7 Ottobre avrebbe così dunque una propria intrinseca utilità, nei piani ultimi di Bibì. E questa circostanza invita a qualche riflessione. Pensieri richiamati senza volerlo, e che fanno fatica ad andarsene.