La resa dei conti la porterà il tempo e la logica. L’equilibrio bellico in Ucraina è destinato a spezzarsi.
Con l’inverno alle porte resta poco tempo per capire, a Kelensky e compagni. Il passare dei mesi non sembra giocare a loro favore, ed un colpo di mano in grado di rovesciare la lenta inedia che sembra trascinare il conflitto, indebolire i proclami del leader ed eclissare il consenso appare improbabile come rivedere Nikolaj Gogol nelle strade di Kiev. Le agenzie riferiscono di una Russia tutt’altro che stanca ed esangue, capace di far sentire la propria presenza con incursioni notturne sulla capitale come mai prima.
La cosa peggiore è che ogni giorno somiglia al precedente ed il precedente sembrava un tassello per costruire un lento mosaico di rassegnazione. Non verrà mai detto, certo. Deve accadere qualcosa di eclatante perché tutto cambi all’improvviso. Il problema del conflitto in Ucraina è che sfugge al principio di realtà e il gioco delle probabilità consegna troppo spesso al futuro lo stesso esito.
La resa dei conti
Una pace negoziata, imposta dall’Occidente a Kiev, perché la guerra di logoramento ha finito per logorare chi si è tenuto in disparte, passando armi e soldi, sperando che presto sarebbe finita. Non è finita e rischia di trascinarsi senza fine, invece, con altri fronti ed altre incognite che bussano e cambiano scenario.
Il Cremlino aveva due opzioni, nelle ore precedenti quel giorno di febbraio. Una guerra fulminea e partita chiusa. L’altra era una guerra di logoramento in grande stile, attenendo che l’immenso peso della Russia nello scacchiere geopolitico completasse il lavoro reso difficile dal terreno e dagli aiuti esterni dati a Kiev. E questo secondo scenario sembra prossimo a realizzarsi.
Washington ha mandato qualcuno a tamponare i malumori di Zelensky. C’è stata la visita a sorpresa del segretario alla Difesa Lloyd Austin a Kiev, un metro e 92 di altezza e un peso di pari lignaggio. Accanto al metro e 70 di Zelenskj sembravano più un monito che una rassicurazione. Il premier ucraino ha dovuto recitare un sorriso dinanzi alla promessa di 100 milioni di dollari in aiuti recapitata da Austin. Per un Paese che deve proseguire un corpo a corpo con la Russia senza un’industria bellica degna di quel nome e l’inverno arginando i blackout, quei dollari sembrano l’equivalente delle caramelle date ai bambini ad Halloween per farli uscire dal negozio. E ora forse mentre la silhouette di Austin si allontana e resta gigantesca, le streghe Zelensky inizia a vederle davvero. Perché Austin poche settimane fa aveva tirato la linea brutalmente, ammettendo che Kiev senza l’aiuto di Washington avrebbe perso la guerra, né più né meno. E constatando quanto concesso ora non sembra che Biden abbia voglia di dannarsi l’anima pur di fargliela vincere. Perché ha altro in mentre ora, e la prima preoccupazione è quella di restare presidente, possiamo starne certi. E per riuscirsi il sacrificio di Kiev non sarà un prezzo troppo alto da pagare. Non sono solo i russi che disturbano le notti di Kiev come mai prima, sono le luci per Kiev che iniziano a spegnersi dall’altra parte del mondo.