Poteva essere un delitto come altri, quello di Giulia Cecchettin, e invece no. Ha oltrepassato il recinto della cronaca per diventare altro.
E’ venuto a dirci quanto siamo inclini a diventare meditabondi e stupidi, filosofi e anime tormentate all’istante. Pronti a pentirci per quello che non abbiamo fatto mentre dimentichiamo le consegne che ci vengono affidate ogni giorno e che sono, queste sì, affar nostro. La tragedia di Giulia non lo è. Due vicende private che si sono incrociate, quelle di due famiglie, e sciaguratamente sono diventate lutto e cronaca. E’ accaduto centinaia di altre volte, accadrà ancora. Ma la storia di Giulia era destino diventasse altro. Una relazione finita che fatalmente porta alla fine del mondo. E si è rotto il vaso di Pandora.
Storie simili possono lasciarci indifferenti o suscitare una partecipazione improvvisa e insolita. Non conosciamo il motivo, accettiamo che accada. Non riusciamo a comprendere perché, ad un tratto, la vittima di un amore finito – e lo chiamiamo amore per pura convenzione – ci prende il cuore. Non sappiamo perché una vicenda in tutto simile ci lascia freddi. Un’altra ragazza, Chiara, due anni fu uccisa da un amico a pochi metri da casa, Un caso che è rimasto cronaca. Ecco, il mistero che ci induce a prediligere una vittima ad un’altra benché simili in tutto dovrebbe metterci in guardia dalla pretesa di poter conoscere i codici del comportamento umano e ascrivere un gesto ad una causa da cui, senza dubbio sarebbe scaturito. Questa congettura è folle almeno quanto la decisone di togliere la vita a qualcuno.
E’ solo meno pericolosa, al momento. E tuttavia è segnata dal tratto ineffabile della stupidità, questo pensiero, perché non ha consapevolezza dell’uomo come variabile impazzita di sé stesso, causa e vittima del proprio stesso mistero. Decifrare le ragioni di un delitto significa immergersi in una lingua ignota con la sola consapevolezza che non comprenderai mai abbastanza. La pretesa di sapere, e quella non meno zoppa di prevedere, porta solo alla scarna certificazione della nostra superficiale stupidità, prima ancora che diventi tardi per rendercene conto. Perché l’insipienza è uno strano labirinto pieno di pretese scambiate per certezze.
Parlare a vuoto, senza capire
Ma la fantasmagoria dell’assordo si potrebbe dire tollerabile se si fermasse al reale colpevole e non andasse alla strenua ricerca di altri responsabili. I complici più o meno inconsapevoli del delitto, i sodali di una testa bacata che ad un tratto ingegna un piano criminale destinato al più fragoroso fallimento. Ecco, si piange una ragazza e la si immagina vittima non solo del suo ex, ma travolta da un vortice di disattenzioni, superficialità e incuria che hanno rappresentato l’humus dove l’assassino ha tratto le proprie ragioni e la spinta fatale, giorno dopo giorno, fino al delitto.
E non basta. Colpevole è la cultura famigliare, il retaggio, gli ascendenti, i segni latenti del patriarcato che sopravvive in sopraffazione spicciola, infantile, per arrivare all’irreparabile.
Il chiacchiericcio resta quello che è: un ondeggiare tra un pensiero ed un altro, uno stralunato vaticinio che fruga tra le viscere di conoscenze approssimative con l’intento di crearsi uno sfondo glamour per il selfie della propria consapevolezza: struggimento, indignazione, buoni propositi, E dopo la risacca del nulla, con il prossimo amante respinto che emerge dal proprio mondo, sigillato, sordo a quanto proviene dall’esterno. Perché se il non uccidere non è già impresso, per qualche misterioso motivo nella loro coscienza, non basta un opuscolo, i versi di una canzone cambiati, il minuto di silenzio e l’altrettanto vacuo minuto di frastuono a redimere un’anima. Se qualcosa da fuori riuscisse ad entrare non si arriverebbe a tanto. Non bastano i maestri, a far luce nell’imperscrutabile. C’era un bambino, qualche secolo fa, che passò buona parte della sua infanzia tra i legionari. Gli diedero un soprannome affettuoso. Suo padre si chiamava Germanico ed è rimasto tra i nomi più immacolati in quella storia nera che fu Roma. Quel bambino divenne Caligola il folle. Sul cuore degli uomini non abbiamo più certezze di quando le impronte di quel bambino seguivano le imprese di suo padre. E’ una lezione da tenere a mente, per chi consce i limiti dell’insegnamento nell’insegnare e della mente nel comprendere.