Il tempo ci dirà se la fragile tregua tra Israele ed Hamas sarà un primo passo per una quiete duratura o un ponte sospeso nel vuoto.
Sembra tutto così fragile che potrebbe rompersi ad ogni momento. La tregua è già fragile di suo, lo senti quando scandisci le sillabe. E’ una parole che nasce tra un inferno e l’altro. Serve a concedere ad entrambi i pochi reciproci vantaggi che ne assicurano la breve vita.
Dopo c’è altra morte, quasi sempre. Dire sì ad un momento di silenzio, da parte di Benjamin Netanyahu, è segno di una consapevolezza. Gli edifici distrutti a Gaza non bastavano e costruire una parvenza di vittoria, in quello scenario desolato che è apparsa la progettualità di Israele dopo l’8 Ottobre. Era necessario vedere il volto degli ostaggi, sapere che fossero vivi, permettere ad alcuni di loro il ritorno a casa.
Dopo settimane d’inferno, la sensazione era di un progressivo scivolare sul fondo di quei volti, ostinatamente rappresentati ovunque per chiederne il riscatto, ma sfocati, quasi dimenticati dinanzi al governo di Israele, intento solo a distruggere, quasi dimenticando le centinaia di persone che potevano essere ovunque e ovunque uccise, da Hamas o da Israele stessa. Ostaggi, di ogni età di cui conosciamo bene il nome.
E non sono mancati i bollettini di morte dove era indicata la fine di un ostaggio per le sciagurate interferenze del fuoco amico a una via ragionevole per uscire fuori da questo vortice impazzito. Bibì dunque a concesso quello che poteva per frenare l’offensiva dei familiari, incapaci di comprendere come le ragioni della ferocia potessero prevalere sulla vita dei loro cari. Ma è accaduto, per settimane.
Morti senza nome
Resta da comprendere se la breve quiete può significare un risveglio dopo l’orrore. I segnali non sono buoni, con segni d’irrequietezza già nelle prime ore e il desiderio di colpire ed uccidere che affiora come una megattera nera in cerca della superfice, dopo essersi immersa il tempo per illuderci. Ma quel leviatano ha le sue regole e qui mancano, con un gigante che è tale in prepotenza ed impunità.
Perché queste settimane di scempio, non meno grave del colpo di mano della Russia in Ucraina vive della ciondolante autarchia di un signore locale che vive e si legittima nella desolante povertà del proprio mondo, dove la debole resistenza si trasforma presto in genuflessione e patibolo. Così sembra essere il tiepido legale con un Occidente poco incline ad indignarsi per Gaza, e quanto mai distante all’idea di attuare la scomposta apocalisse con cui ha gridato contro il Cremlino. Dinanzi a Gerusalemme ora l’Europa se ne sta muta, né calda né fredda, mentre le fosse comuni a Gaza continuano ad accogliere morti senza volto, senza storia e senza nome.