I feriti si accumulano nei corridori degli ospedali di Gaza. Attendono di essere curati, un sogno che tuttavia appare così lontano.
I social network contribuiscono alla diffusione di immagini che ritraggono chiaramente la cruda verità. Contrariamente a quanto accadeva in passato, i politici – almeno in parte – non hanno più potere sulla natura delle informazioni in possesso dei liberi cittadini. Nessuno pertanto ha potuto contrastare la condivisione globale di video che riprendono i corridoi degli ospedali di Gaza sovraffollati, nei quali non si distinguono i corpi senza vita da coloro che invece attendono di essere curati. Un’infermiera volontaria palestinese ha spiegato che la crisi del sistema sanitario in realtà fosse iniziata ben prima dello scoppio del conflitto.
Le forniture di assistenza medica, così come i dispositivi di nuova generazione volti all’applicazione delle terapie, non hanno mai raggiunto le strutture palestinesi. “Siamo sotto assedio da anni” – sono state le sue parole. L’ospedale principale ad esempio possiede solo 14 posti letto e il minimo indispensabile per occuparsi in un numero modesto di pazienti. Il conflitto ha incrementato inevitabilmente le unità di feriti: dalle 50 alle 70 persone chiedono disperatamente aiuto ogni giorno. Le condizioni poi non sono certo delle migliori, al contrario la giovane volontaria, intervistata dalla stampa italiana, ha spiegato di non aver mai visto un massacro di tale portata.
Isolati e in fin di vita
Braccia amputate, gravi lesioni alla testa, ustioni causate dal fuoco delle bombe. Medici ed infermieri, benché affrontino turni continui di 24 ore, non riescono a reggere il ritmo. Una difficoltà, questa, che si aggiunge all’impossibilità di muoversi facilmente all’interno delle strutture sanitarie. I soldati israeliani hanno fatto irruzione in molti degli ospedali principali, colpendo inesorabilmente chiunque finisca nel loro mirino. Uomini, donne e bambini, così come il personale sanitario, vivono nel terrore di essere colpiti da un proiettile vagante. I pazienti, di conseguenza, non possono essere trasferiti da un reparto all’altro e questo sfavorisce ulteriormente il pronto soccorso.
“La maggior parte dei feriti sono bambini” – le parole accorate dell’infermiera. Piccoli che hanno perso i propri cari, i cui famigliari risultano dispersi. Alcuni di loro sono scampati alle bombe e alle armi per miracolo, un colpo di fortuna che li ha tuttavia condotti lontano dalla propria dimora. Raggiungono così i rifugi, impauriti e spaesati. “E’ straziante, cosa puoi dire ad un bambino rimasto solo?” – in alcuni casi i parenti riescono a raggiungere gli ospedali nei giorni seguenti e quindi chiedono di loro al personale sanitario. Si tratta tuttavia di poche eccezioni. Per tutti gli altri, almeno per ora, non esiste futuro.