L’immagine dei soldati Israeliani che si fanno ritrarre dentro il Parlamento di Gaza come un trofeo è l’ennesimo intralcio alla pace.
Una pessima idea, una luce nera che illumina un disastro già nero di suo, dall’interno. L’immagine dei ragazzi d’Israele, entrati a Gaza così in profondità fino ad accedere ad un luogo indicato come il Parlamento di Gaza. Un’immagine banale e straziante, che fa il paio con quelli di alcuni giorni fa, dello stesso segno: la bandiera israeliana che sventola sui resti di una Gaza distrutta.
E non sembra un eufemismo. Una città irriconoscibile, edifici e storie cancellate da parte del popolo che ha fatto del culto della Memoria monito e strumento di difesa. Ma la memoria degli altri non conta – e la casa è il luogo eminente dei ricordi, cuore dell’identità stessa, quale sia la lingua che si parla tra quelle mura. I ricordi qui devono essere cancellati e sostituiti dalla brutale ritualità dell’umiliazione. Un’umiliazione davanti al mondo e, quello che più conta, davanti al mondo arabo, con quella stella di Davide a mettere il sigillo sopra una sconfitta bruciante, nella narrazione di Israele.
This is what Hamas’ parliament in Gaza looked like before, and this is how it looks now that the IDF’s Golani Brigade has captured it🇮🇱 Hamas – you are on the way to hell!!! pic.twitter.com/wJWFMXoW3m
— יוסף חדאד – Yoseph Haddad (@YosephHaddad) November 13, 2023
Il gelo che viene dal Medio Oriente in questi 40 giorni parla il linguaggio della resa di ogni ragionevolezza. L’immagine dei soldati è lì a testimoniarlo. Ma ci dice anche altro, quell’immagine. La drammatica sopravvalutazione delle proprie forze e le sciagurata noncuranza con cui le altre possibilità sono state gettate nelle fosse comuni, insieme alle vittime di Gaza.
Netanyahu il folle
Il lascito che il governo Netanyahu si dispone a recapitare a chi verrà dopo è un’opera di ricostruzione della credibilità di Israele dinanzi al Mondo e appare immane, più difficile della ricostruzione di Gaza, se mai avverrà. Perché alcune immagini parlano un linguaggio autonomo, libero dall’uso che i contendenti ne vorrebbero dare. Immagini allo stato brado che rifiutano intrinsecamente l’educazione alla propaganda che la narrazione dei forti vorrebbe imporre. Sì commentano da sé, si dice, quando ci si imbatte nell’evidenza che scalcia i sottotitoli e le didascalie. E non servono parole, desolatamente, in scatti come questi, e per le trincee dell’inedia in cui si sono dovuti trasformare gli ospedali di Gaza.
I passi falsi nella cieca rappresaglia israeliana sono la cifra stessa del loro incedere. E inciampano gli uni sugli altri. Il Dio degli eserciti è un dio piccolo e pagano, in cerca di trofei da mostrare alla folla, mostrando la coccarda stellata delle vittime quando serve per nascondersi.
Il tempo della guerra è venuto, diceva Bibì, prima di vendicarsi su Hamas, sui malati e sui bambini, 40 giorni fa. E il tempo di fingersi vittime non passa mai, sembra, come il lupo nella fiaba di Fedro. E’ una storia antica, questa, anche se deve essere scritta. Una storia che finirà per riscrivere la Storia, e sarà tutta a svantaggio d’Israele. Perché certe immagini non si dimenticano. Quelle della Shoah, come è giusto, e quella di Gaza. Ed è giusto anche questo.