Israele rifiuta il cessate il fuoco, nel frattempo medici ed infermieri sono costretti ad operare i bambini senza anestesia.
In condizioni di conflitto, il primo tassello del domino che inizia a crollare rimane sempre il sistema sanitario. Abbiamo assistito ad un evento simile durante la pandemia, quando gli ospedali erano talmente sovraffollati da costringere medici ed infermieri a visitare i pazienti nei corridoi delle strutture. Il medesimo discorso, ben più tragico, si sta verificando a Gaza.
Qui il personale, oltre ad affrontare le problematicità legate al notevole numero di persone che necessitano assistenza, è impegnato nella cura delle vittime delle bombe e degli attacchi militari. Non c’è luce, acqua e soprattutto non è possibile usufruire di dispositivi di terapia adeguati.
Il sistema sanitario sta crollando
I malati e i feriti vengono visitati per terra ed operati d’urgenza senza anestesia. In mancanza di medicinali e strumenti di assistenza efficienti, diversi dottori si sono visti costretti ad amputare braccia e gambe a freddo. Viviamo nel XXI secolo, eppure sembra che la lancetta dell’orologio ci abbia riportato indietro nel tempo, quando soldati e civili venivano lacerati tanto fisicamente, quanto emotivamente dalla furia dei nemici invasori. “La situazione del sistema sanitario a Gaza era già difficile” – ha spiegato lo studente Islam Masood – “Sei ospedali hanno chiuso, ci sono migliaia di persone sfollate che cercano rifugio”.
Gli attacchi missilistici israeliani hanno distrutto case e palazzi, per cui ai residenti non resta che nascondersi entro le mura delle strutture sanitarie. Le stesse che sono divenute primo obiettivo delle forze armate israeliane, in quanto basi terroristiche dei miliziani di Hamas. Nel frattempo i bambini convivono con il trauma, soffocati dalla paura di doversi sottoporre ad interventi chirurgici e terapie d’urgenza. “Ho visto operare con il flash dei cellulari” – continua Masood, che al momento si trova in Egitto. E’ infatti riuscito a lasciare la Striscia grazie ad un permesso per una conferenza internazionale. La sua famiglia però è rimasta a Gaza ed è emigrata a Jabalia.
“Mia sorella sta mattina mi ha detto che sono vivi” – ha concluso – “ma continua a ripetere che non c’è acqua, che hanno sete”. Nelle prossime settimane le condizioni di sopravvivenza dei palestinesi si aggraveranno irrimediabilmente. Operare sul pavimento, con la luce flebile degli smartphone e senza i dovuti prodotti igienizzanti e anestetici, contribuirà sicuramente alla diffusione di malattie ed infezioni. E se uomini, donne e bambini sono sopravvissuti alle bombe e ai mitra, è possibile che incontrino comunque la morte a causa della fame, della sete e della mancata assistenza medica.