Israele, la guerra uccide l’economia

Un successo militare dopo l’altro e precarietà economica dilagante. Le manovre di politica interna israeliana lasciano a desiderare.

Ogni conflitto richiede un investimento economico notevole. Utilizzare i risparmi del paese, per finanziare armi ed esercito, porta inevitabilmente ad un raffreddamento delle dinamiche interne del nazione. Israele si trasforma così in una meta da bollino rosso: i turisti fuggono, gli aerei di linea vengono cancellati, la popolazione viene chiamata alle armi, negozi e locali si svuotano.

Crisi economica in Israele
Crisi economica dilagante in Israele: la colpa è della guerra – foto: ansa – rationalinternational.net

La moneta interrompe il suo viaggio e perde così di valore. Si tratta di un circolo vizioso per cui ogni successo militare comporta un insuccesso di fatto nella politica interna. E mentre Netanyahu vince, i suoi concittadini sono costretti alla precarietà dilagante.

Netanyahu vince, gli israeliani perdono

Israele presentava delle difficoltà prima ancora dell’inizio del conflitto. La pandemia del 2020, associata all’incremento dell’inflazione sul territorio, aveva contribuito all’impoverimento della nazione. Il paese ha sempre puntato sugli investimenti tecnologici, settore che rappresenta ben il 48% delle esportazioni. Un vantaggio divenuto ora un punto debole: gli investimenti sono crollati del 61%. Di fronte ad un progressivo isolamento economico, la banca centrale ha tentato di minimizzare i danni inserendo nel mercato miliardi di euro. Iniziativa, questa, che non ha sortito gli effetti sperati. L’indice principale della Borsa di Tel Aviv è diminuito infatti del 20% rispetto ai massimi registrati negli anni precedenti.

La guerra costa
Il conflitto israelopalestinese ha un costo – foto: ansa – rationalinternational.net

Per diminuire il numero dei possibili obiettivi terroristici, il governo ha ordinato l’interruzione della produzione di gas naturale presso il giacimento di Tamar, rinunciando ad un introito di 200 milioni di dollari. Si tratta di perdite significative che potrebbero aumentare laddove Hezbollah, Cisgiordania e Siria decidessero di entrare in guerra per sostenere Hamas e i palestinesi. Una conseguenza devastante, la cui origine risiede nelle dichiarazioni del primo ministro, deciso ad occupare militarmente e politicamente la Striscia. Per questa ragione, il segretario di stato americano, Antony Blinken, ha ripetutamente contattato le principali amministrazioni vigenti in Medioriente, sensibilizzandoli alla mediazione e alla pace.

L’unica speranza per il paese risiede nella collaborazione degli alleati. Gli Stati Uniti finanziano periodicamente lo Stato di Israele con 3,8 miliardi l’anno, cifra che potrebbe lievitare laddove la Commissione statunitense approvi l’invio di 14 miliardi di dollari, destinati alle spese militari necessarie per sostenere il conflitto. In passato il governo aveva studiato una strategia economica ottimale per resistere alle tensioni con Gaza nel 2014 e con il Libano nel 2006. Si tratta tuttavia di un piano che non si sposa con l’attuale programma militare di Netanyahu, il quale contempla un’invasione da terra diretta e quindi l’impiego di un numero maggiore di armi e di soldati. Laddove la guerra dovesse allargarsi – ed aggravarsi – è possibile che il primo ministro perda l’appoggio tanto degli economisti esperti, quanto degli israeliani stessi.

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