Sarebbe utile domandarsi perché i Palestinesi non siano fuggiti a fiumi da Gaza, quando l’Esercito israeliano annunciava la catastrofe.
Le nubi nere si avvicinavano e quelli erano lì, ad attendere. E’ una storia sottintesa ad una storia più evidente ma impossibile da nascondere, questa. Perché sulla questione palestinese sono due ostinazioni a scontrarsi. Sono queste la radice di un conflitto senza un rovesciamento decisivo a favore di un contendente. Il desiderio di resistere di entrambi, Palestinesi ed Israeliani, appare una questione di principio, un tratto irrinunciabile non meno delle istanze di sopravvivenza.
Ed è questo linguaggio, il linguaggio dell’ostinazione, che è insieme orgoglio e coscienza della propria finitezza a rendere tutto così cruento, nei colori accesi del fuoco e l’immediato precipitare nel buio, un attimo dopo. Ma, lato palestinese, c’è qualcosa in più, oltre all’atavico attaccamento alla terra. Ed è proprio la percezione della completa caducità della terra, di questa terra, che eleva l’ostinazione verso la trascendenza ed accetta il sacrificio, per approdare ad essa. Per questo la resistenza a Gaza non sarà solo una contesa nel terreno ma un discettare, armi in pugno sulla visione del mondo. E sulla morte, soprattutto.
Un’idea diversa della morte
Possiamo chiamarla retorica del martirio, e ascriverla a sedimento del passato a creare problemi al presente, qui ed ora. Ma se questa retorica diventa concretezza di scelte e di azione allora sono guai. Ed i primi a vederli, questi guai, e sentirne il tocco tutt’atro che lieve sulla propria pelle saranno i ragazzi d’Israele. Una cultura occidentale, una visione del mondo secolarizzata, sebbene sia stata l’intransigenza religiosa più cupa, nei convivi di Gerusalemme, a gettare fascine in questo incendio, con gli uomini trasformati in sacrificio al culto delle proprie certezze.
Ma gli estremisti di fede ebraica se ne stanno a casa, con la Torah in mano, mentre quelli di fede islamica sono a Gaza, tra macerie e odore di morte, con le armi ben stretti in pugno. E non temono nulla.
Fino alla fine
Un credo più cupo e profondo ha fatto spesso la differenza nei conflitti dove la sproporzione di forze non avrebbe consentito a nessun allibratore di giocarsi un penny sul più emaciato dei contendenti. Ma c’è stato altro ed è stato tutto, alla fine. Se l’ostinazione diventa una fede e questa il passaggio alla trascendenza, comprendi come si possano scavare tunnel per anni, resistere al buio e alla povertà, senza cambiare prospettiva.
Quello che per i ragazzi israeliani può trasformarsi a breve in una promessa non mantenuta – sbarazzarsi di Hamas tenendo un orologio in mano – per gli altri ragazzi può diventare una promessa mantenuta. Morire per la propria terra e vedere Dio. Ed è questo il nemico che nessun esercito può permettersi di sottovalutare.