Una dichiarazione che passa quasi inosservata, quella del Segretario alla Difesa americana Lloyd Austin in un’audizione al Congresso.
“Posso assicurare che senza l’aiuto degli Stati Uniti, Putin vincerà la guerra in Ucraina“. Un’evidenza, certo, ma necessaria a sottolineare quanto il dossier su Kiev sia un carico di responsabilità ed un ingombro dalle parti di Washington, il cui peso, e la voglia di disfarsene, è destinato ad aumentare via via che il conflitto su Gaza si trasforma in una crisi con pochissime vie di uscita.
Se li si osserva da vicino non potrebbero essere più differenti Benjamin e Netanyahu e Volodymyr Zelensky il primo indifferente ai consigli degli Usa su come gestire la crisi, e tra questi. l’invito ad evitare di accendere le micce di un conflitto epocale, l’altro che fa la questua, grandi e piccoli ricatti morali per avere soldi e armi. E mai sembra sazio. Visti da lontano entrambi sembrano simili nel creare problemi. Senza dare nulla in cambio. Ma anche sulle spalle possenti dello zio americano due fardelli iniziano ad essere troppo, se ognuno non cede un’oncia del proprio gravame.
Un’illusione molto costosa
Ecco, le parole del Segretario americano alla Difesa sembrano tirare la linea verso quell’attimo di consapevolezza che potrebbe essere preludio di una scelta. E se scelta fosse, non è facile immaginare chi, tra Bibì e Zelj verrebbe spinto giù dalla torre. Questione di stazza personale, ma non solo. Sulla bilancia degli equilibri mondiali il leader ucraino è più piccolo e leggero.
Le opportunità per disfarsene non mancherebbero e un buon sicario sarebbero le presidenziali ucraine del prossimo anno che con ottime ragioni Zelensky sembra vivere con una certa inquietudine se giura che non potranno avvenire a causa della guerra. Un bel modo per contraddirsi, da parte di un leader che afferma di averla quasi vinta, la guerra. E qui la notte del leader ucraino sembrano potersi trasformare in un’intermittenza di luci accese e spente, con qualche incursione in cucina per placare l’ansia.
Le parole del generale Valery Zaluzhny
Perché i proclami dell’attore diventato presidente, sempre più deboli, sbattono come un pipistrello chiuso in una stanza quando a parlare è il comandante delle forze armate di Kiev, il generale Valery Zaluzhny. Parole raccolte dal settimanale britannico The Economist, non esattamente voci raccolte nel bagno degli uomini, in un momento di sollievo, con la lampo tirata giù.
In cinque mesi la favolosa avanzata delle truppe ucraine nella riconquista dei territori occupati è stata di 17 chilometri, spanna più spanna meno, e per cambiare rotta ci vorrebbe un cambiamento imponente nelle forniture militari. Ecco, il fardello che dicevamo. Prendete queste dichiarazioni, quelle Lloyd Austin e mettetele una accanto all’altra, come lo erano le Torri Gemelle. Per riuscire a tenere le fila di un discorso che parli di vittoria ci vorrebbe qualcosa di più degli equilibrismi di un Zelensky. Per quanto abile non sembra avere il talento di Philippe Petit, l’acrobata che camminò su un filo, senza cadere giù, anni prima che a cadere giù furono le torri. E sembravano più solide delle certezze ancorate nel cuore del piccolo leader ucraino. E del suo futuro.