Tunnel e cunicoli a Gaza, un problema che per l’esercito di Israele può trasformarsi in un labirinto senza via di uscita.
Si possono prendere come metafora, i tunnel di Gaza, di un problema che si è ramificato per mezzo secolo ed ora sembra alla resa dei conti. L’esercito di Israele sta tentando di compiere nelle ultime settimane un’operazione che non è solo strategica e militare ma anche e soprattutto, simbolica e propagandistica.
Perché cancellare quei tunnel significa porre fine alla condizione di allerta permanente in cui Israele ha vissuto per decenni. Ma affrontarli sul serio è tutt’altra faccenda, se sono vere solo in parte le descrizioni che ne sono state fatte, tra mito e cronaca, così impigliate l’una nell’altra che ha sfuggire è spesso il senso della realtà. Una realtà che sembra essere sfuggita a Netanyahu, quando ancora vacillante d’odio per gli israeliani assassinati nelle loro case, quasi una pagina strappata dai passi più sanguinari della Bibbia e inchiodata beffardamente alla cronaca del presente, diceva che avrebbe liquidato la faccenda in pochi giorni.
Senza via di uscita
Così parlò Bibì. E anche qui il mito si prende il suo spazio, con il ricordo che va alla Guerra dei 6 giorni, un crocevia dove Israele ha alimentato la certezza della propria invulnerabilità con Sinai, Golan e Cisgiordania strappate ad Egitto, Siria e Giordania, come fosse un gioco per ragazzi protetti da Dio. Cosa saranno mai una manciata di tunnel, sembrava dire Israele. E l’eccidio di inizio Ottobre è sembrata un’occasione unica, irripetibile, per togliere quella ferita da proprio inconscio. Sarà sembrato semplice, o quasi. Ridurre il ghetto di Gaza in macerie, aprire una strada e cercare, con una mappa in mano, i punti in cui quella ramificazione maledetta raggiunge la superficie.
Ma c’è una variante a questo semplice disegno sulla lavagna. Quella della consapevolezza. Se per decenni scavi cunicoli sotto la superfice, lontano dal sole, con nessun’altra idea che quella di resistere, hai tratteggiato una toponomastica dell’ombra che trae fondamento nella prossimità dei nemici l’ha fuori, intenti a far saltare gli ingressi. E hai pensato alle alternative. Questo è il problema. In parole povere, povere come Gaza, la strategia dell’esercito israeliano appare tutto meno che imprevedibile. E ci sono concrete possibilità che possa rivelarsi claudicante almeno quanto nelle prima ore, era sembrata invincibile. E diventare una trappola. Una consapevolezza che sembra farsi largo, man mano che i mezzi militari di Gerusalemme avanzano nella distruzione da loro stessi creata. Qualche parola di ancora nel perimetro della realtà l’ha spesa Yaron Finkelman comandante delle forze di difesa israeliane a Sud. Nessuna guerra lampo, ha detto, è impossibili. I lampi sono stati quelli dei bombardamenti interrotti, il fragore assordante di una leadership israeliana sorda alle parole, perfino alle strattonate del buon senso. E ora non resta che l’ignoto.