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Esteri

Stati Uniti, raid sulla Siria. Il conflitto mediorientale rischia di allargarsi?

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Federica Giovannetti

Nella notte attacchi nell’Est del Paese mediorientale contro depositi di armi e munizioni di Iran e gruppi affiliati alle Guardie rivoluzionarie. Il segretario alla Difesa Usa Austin: “Una risposta ai raid contro i soldati americani”. Teheran nega un coinvolgimento ma averte Washington: “Si apriranno nuovi fronti contro gli Usa se proseguiranno i bombardamenti su Gaza”.  Nella Striscia la situazione umanitaria resta drammatica

 

Mentre la guerra è entrata nel suo 21esimo giorno, e continuano i lanci di razzi di Hamas contro Israele e gli attacchi aerei di Tel Aviv su Gaza, rimane il rischio di un allargamento del conflitto al resto della regione. Nella notte l’esercito Usa ha lanciato attacchi aerei con caccia F-16 su due località nella Siria orientale collegate al corpo delle Guardie rivoluzionarie iraniane, destinate a ospitare depositi di armi e munizioni utilizzate dall’Iran e da “gruppi affiliati” sciiti.

I raid, condotti nei pressi di Abu Kamal, una città siriana al confine con l’Iraq, sono una risposta agli attacchi portati avanti da gruppi sostenuti dall’Iran nei confronti di personale americano in Iraq e in Siria, ha spiegato il segretario alla Difesa Lloyd Austin.

Il presidente Usa Joe Biden ha ordinato i “raid di autodifesa per rendere chiaro a tutti che gli Stati Uniti non tollerano questi attacchi e sono pronti a difendere il loro personale e i loro interessi”, ha detto il capo del Pentagono. Gli attacchi sponsorizzati dall’Iran sono “inaccettabili e devono finire”, ha aggiunto Austin, aggiungendo che Washington prenderà ulteriori misure se necessario. Il segretario d’altro canto ha voluto gettare acqua sul fuoco assicurando che gli States non cercano il conflitto né hanno “l’intenzione o il desiderio di partecipare a ulteriori ostilità”.

L’operazione militare arriva dopo che gli Usa hanno confermato il ferimento di almeno 21 soldati americani in diversi attacchi di droni da parte delle milizie filo-iraniane in Iraq e Siria negli ultimi dieci giorni.

Usa: “Raid separati dal conflitto tra Israele e Hamas”

Anche se il segretario alla Difesa ha precisato che i raid americani sono “separati e distinti dalla guerra in corso tra Israele e Hamas e non costituiscono un cambiamento nel nostro approccio”, il timore di un allargamento del conflitto alla regione rimane concreto. Del resto la tensione resta alta anche al confine settentrionale con il Libano, da dove prosegue il lancio di razzi e droni da parte delle milizie di Hezbollah, il “partito di dio” filo iraniano che sostiene Hamas.

Non è la prima volta che le truppe statunitensi e della coalizione finiscono nel mirino. Da quando è iniziato il conflitto tra Israele e Hamas, sono state bersagliate almeno 12 volte in Iraq e quattro volte in Siria. Funzionari americani attribuiscono gli attacchi a gruppi iraniani che operano nella regione. Gli Stati Uniti hanno circa 900 soldati di stanza in Siria e 2.500 nel vicino Iraq. Giovedì gli Stati Uniti hanno dichiarato che avrebbero spostato altre 900 uomini nella regione, impegnati nella lotta contro lo Stato islamico. A causa delle tensioni in corso, Washington si appresta a inviare altri novecento soldati.

Caccia Usa F-16 | Foto Pubblico dominio

 

Il giorno dopo i raid Usa, il ministro degli Esteri iraniano Hossein Amirabdollahian, in un’intervista all’agenzia Bloomberg ha negato il coinvolgimento di Teheran negli attacchi contro i soldati americani. I gruppi responsabili “non ricevono ordini o istruzioni da noi  ma “decidono in modo indipendente”, ha assicurato.

Il capo della diplomazia iraniana ha poi inviato a Washington un messaggio non troppo rassicurante. “Se proseguirà l’uccisione del popolo palestinese a Gaza – donne e bambini- la situazione nella regione andrà fuori controllo”, ha ammonito Amirabdollahian, avvertendo chesi apriranno nuovi fronti contro gli Stati Uniti”. Quindi la minaccia: “La parte americana dovrebbe decidere. Vuole veramente un’escalation della guerra?”.

Appena mercoledì scorso la guida suprema iraniana, l’ayatollah Ali Khamenei, ha accusato gli Stati Uniti di essere direttamente coinvolti nell’offensiva israeliana nella Striscia di Gaza. Gruppi armati legati all’Iran avevano già minacciato di attaccare le basi statunitensi in Medio Oriente a causa del sostegno di Washington a Israele nella guerra contro Hamas.

La situazione nella Striscia resta drammatica

La situazione all’interno della Striscia di Gaza intanto rimane drammatica. La Mezzaluna rossa palestinese ha confermato l’ingresso nell’enclave di un convoglio con aiuti umanitari. Anche stavolta gli automezzi, in tutto 12, non contenevano carburante, essenziale per alimentare i generatori che tengono accesi desalinizzatori e i macchinari negli ospedali. Complessivamente, dall’inizio del conflitto, sono entrati a Gaza 74 camion di aiuti. Secondo il Ministero della sanità di Gaza, il numero delle vittime dall’inizio della guerra è salito a oltre 7mila palestinesi. E, dopo i dubbi sollevati dal presidente degli Stati Uniti Joe Biden circa l’attendibilità dei numeri diffusi da Gaza, le autorità hanno diffuso la lista delle persone morte dal 7 ottobre, completo di nome, età e numero della carta d’identità.

La partita degli ostaggi nelle mani di Hamas

Un portavoce di Hamas ha affermato che circa 50 ostaggi sono stati uccisi a causa dei raid israeliani. Sono almeno 224 le persone, militari e civili, nelle mani del movimento che controlla Striscia dal 2007. Più della metà degli ostaggi ha passaporti stranieri di 25 Paesi diversi, tra cui 54 cittadini tailandesi, 15 argentini, 12 tedeschi, 12 americani, sei francesi e sei russi.

Ieri intanto una delegazione di Hamas è stata in visita a Mosca mentre la Russia ha fatto sapere di aver avuto colloqui in Qatar con una delegazione del movimento palestinesi sugli ostaggi tenuti a Gaza. I miliziani palestinesi ribadiscono i prigionieri non potranno essere liberati finché non verrà concordato un cessate il fuoco.

L’Unione europea chiede “pause e corridoi umanitari”

Intanto sul sul fronte diplomatico, da registrare l’accordo raggiunto all’unanimità dai leader dell’Unione europea sulla crisi in Medio Oriente, dopo una discussione durata cinque ore. Nelle conclusioni, un testo di compromesso, i capi di Stato e di governo dell’Ue “esprimono la più grande preoccupazione per il deterioramento della situazione umanitaria a Gaza e chiedono un accesso umanitario continuo, rapido, sicuro e senza ostacoli e aiuti per raggiungere i bisognosi attraverso tutte le misure necessarie, compresi i corridoi e le pause per le esigenze umanitarie”. Il braccio di ferro tra i 27 si era innescato sul riferimento a un cessate il fuoco e non solo a pause umanitarie.

Federica Giovannetti

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